Lev Manovich afferma che il profondo cambiamento che investe la cultura all’epoca della rivoluzione dei media computerizzati riguarda anche lo spazio e i relativi sistemi di rappresentazione e organizzazione, diventando anch’esso un media: Proprio come gli altri media – audio, video, immagine e testo- oggi lo spazio può essere trasmesso, immagazzinato e recuperato all’istante; si può comprimere, riformattare, trasformare in un flusso, filtrare, computerizzare, programmare e gestire interattivamente.[1]
Ricorda ancora che se tutte le azioni avverranno in un prossimo futuro, nello spazio del virtuale e della simulazione, lo schermo, ultima appendice della cornice intesa come spazio fisico separato che impedisce il movimento di chi osserva, scomparirà del tutto a vantaggio di un effetto compositivo sfumato che ricerca, “scorrevolezza e continuità”: L’apparato della realtà virtuale si ridurrà a chip impiantato nella retina e connesso via etere alla rete. Da quel momento porteremo con noi la prigione non per confondere allegramente le rappresentazioni e le percezioni (come nel cinema) ma per essere sempre in contatto, sempre connessi, sempre collegati. La retina e lo schermo finiranno per fondersi.
Più che eliminati, gli schermi, in realtà si sono ingranditi; a caratterizzare la scena urbana degli ultimi anni è infatti, il fenomeno del gigantismo. Vengono chiamate “ipersuperfici”, “media facciate interattive” quelle pareti architettoniche permanenti o temporanee, destinate a ospitare superfici luminose e colorate, megaproiezioni video e schermi al plasma: gigantesche proiezioni con immagini e scritte a LED fanno parte del paesaggio e dell’arredo metropolitano e costituiscono ormai, l’armamentario basico della pubblicità. Nella definitiva mediatizzazione del contesto urbano le insegne digitali (digital signage) raggiungono ormai, formati terracquei. La dimensione esperienziale del public space, della piazza, delle stazioni, dei metrò attraverso schermi multidimensionali, secondo Simone Arcagni, si lega a quella più intima, individuale, televisiva: “Media, urbanistica, performance concorrono a realizzare una nuova esperienza spettatoriale, in parte anche cinematografica”[2].
Urban screens, architectural mapping, facade projection, 3D projection mapping, videoprojection mapping, display surfaces, architectural Vj set, sono alcune delle definizione usate e l’ambito è quello della cosiddetta Augmented Reality (ma Lev Manovich preferisce parlare di Augmented Space perché c’è una sovrapposizione di elementi elettronici in uno spazio fisico), una tecnica che fa interagire la realtà e la sua ricostruzione digitale e ne modifica la percezione visiva. Sulla base di questi esperienze di realtà aumentata sono state create opere video artistiche architetturali e spettacoli teatrali con scenografia/attore virtuale che prevedono una mappatura (mapping) 2D, 3D di grande realismo e una proiezione su enormi superfici: pareti di palazzi, castelli, torri ma anche fondali teatrali. E’ una nuova arte mediale, un’arte media-performativa.
I confini del teatro si allargano: l’ambiente non è più lo sfondo, è l’opera. Animazione, musica, sperimentazioni video-grafiche, live performance e interattività si prestano allo sviluppo di un nuovo formato multimediale artistico dall’effetto sorprendente.
L’estetica del meraviglioso, ovvero quella che Andrew Darley nel suo libro Digital culture: surface, play and spectacle in new media genres definisce l’estetica della superficie, è alla base di queste forme spettacolari legate alla cultura digitale e nello specifico, al videomapping: la proiezione architettonica reclama uno sguardo panoramico e avvolgente nei lavori di Urban screen, Nuformer, Macula, Apparati effimeri, Visualia, AntiVj, Architecture 1024, Obscura digital; dice Giovanni Boccia Artieri: è così che l’intreccio tra la forma della spettacolarizzazione e la realtà tecnologica del medium riprende le forme del meraviglioso presenti nelle modalità ottocentesche di intrattenimento di massa consentendone anche una ridefinizione dello spazio urbano: effetti speciali visivi ed immersivi dove talvolta la forma conta più del contenuto, dove sono i giochi di superficie ad essere rilevanti[3].
Si tratterebbe di un’estetica, quindi, che ha un gran debito nei confronti dei panorama e diorama e delle diverse fantasmagorie della cultura popolare ottocentesca[4] ma anche degli scorci prospettici in pittura, del quadraturismo, delle tecniche visive di sfondamento volumetrico. Si può dire allora che il video mapping e l’architectural mapping sono la prosecuzione ideale, in epoca di realtà aumentata e di dispositivi immersivi, delle macchine ottiche e degli esperimenti anamorfici[5]del Seicento.
Come ci ricorda Thomas Maldonado, la civiltà occidentale in fondo, è diventata una produttrice e consumatrice di trompe-l’œil, tecnica che si è emancipata dai vincoli del virtuosismo artigianale per avvalersi di tecnologie digitali la cui resa tende oggi sempre più al realismo:
La nostra è stata definita una civiltà delle immagini (…) Questa definizione sarebbe più vera, se aggiungessimo che la nostra è una civiltà in cui un particolare tipo di immagini, le immagini trompe-l’œil, raggiungono, grazie al contributo di nuove tecnologie di produzione e di diffusione iconica, una prodigiosa resa veristica(…) La conferma più incisiva viene, oggi, dall’avvento della grafica computerizzata, soprattutto se si pensa ai suoi ultimi sviluppi finalizzati alla produzione di realtà virtuali.[6]
Siamo di fronte a una rinnovata “macchina di visione”: in fondo le video proiezioni in mapping si basano sullo stesso principio su cui erano fondate anche le “visioni ineffabili” del Cinquecento, quelle cioè, soggette all’anamorfosi, forzatura estrema della prospettiva lineare rinascimentale. Nelle opere anamorfiche, la realtà può essere percepita solo attraverso uno specchio deformante, mentre il mapping video non è che una maschera che deforma/crea una realtà inesistente.
Per dare spessore storico-artistico a questa nuova tecnica video d’illusione tridimensionale digitale sopra un’architettura, si potrebbero citare la prospettiva monumentale e le architetture dipinte barocche (il cosiddetto quadraturismo, il “lavoro di quadro” secondo l’espressione del Vasari con riferimento alla rappresentazione di finte architetture in prospettiva che “sfondano” i limiti dello spazio reale, ingannando l’occhio, quella che Omar Calabrese definisce la tripla spazialità nella pittura) e il trompe-l’œil. La suggestione, la costruzione fittizia dello spazio, l’unione del fondo al primo piano e il conseguente artificio illusionistico sono alla base dell’arte monumentale: dal Vasari degli Affreschi della Cancelleria al Tiepolo degli affreschi a Palazzo Labia, dal Veronese della Cena in casa Levi al Michelangelo della Cappella Sistina, la pittura si unisce all’architettura e si fonde con essa.
Ripercorrendo la storia del Teatro, si possono citare le tecniche di raffigurazione pittorica dello spazio con lo sfondo dipinto prospetticamente, le scenografie illusionistiche del Cinquecento e del Seicento e relativa trattatistica: dai disegni di Baldassarre Peruzzi per la Calandria (1514) alle scene-tipo dipinte del Serlio e ispirate alla classicità per la scena comica, tragica e satirica (1545), alla sezione teatrale dell’opera Perspectivae libri sex di Guidubaldo (1600) ai libri di Andrea Pozzo (1693) e di Ferdinando Galli Bibbiena (1711), passando per la celeberrima Pratica di fabbricar scene e machine ne’teatri di Nicolò Sabatini (1638)[7].
Per la contemporaneità, ecco due esempi di scenografia realizzata con una tecnica di illusione prospettica:
– il landscape di Robert Lepage realizzato dallo scenografo Robert Fillion per Andersen Project (2005), un dispositivo concavo che accoglieva immagini in videoproiezioni le quali, grazie ad uno studiato rialzamento centrale della struttura, sembravano avere corporeità tridimensionale e interagire con l’attore, letteralmente immerso in questo ambiente costruito intorno a lui.
– la gabbia prospettica de L’Ospite dei Motus ispirato al film Teorema di Pasolini, una scenografia monumentale che incombe e schiaccia i personaggi, costituita da una profonda pedana inclinata chiusa su tre lati composti da altrettanti schermi ospitanti immagini video. Come hanno dichiarato gli stessi autori, la struttura che si appoggia su palcoscenici dei teatri all’italiana, è stata ideata pensando alle macchinerie classiche. Il trittico video con tutta la sua imponenza, rilascia l’illusione di uno spazio tridimensionale, di una camera ottica, di un’enorme casa senza la quarta parete.
L’ingegnosità di queste tecniche scenografiche permette, in entrambi i casi, un’artigianale ed efficace integrazione di corpo e immagine, restituendo l’illusione tridimensionale delle immagini.
L’utilizzo nel teatro del vero e proprio videomapping riguarda non solo le scenografie (si proiettano ambienti digitali su volumi in scena) ma anche gli oggetti, gli attori, i costumi e l’intero spazio, in alcuni casi, interagendo tra di loro.
Il gruppo Urbanscreen lo applica in un curioso esperimento con il palcoscenico a dimensione di facciata, per realizzare il quale è stata pensata una drammaturgia. Il riferimento è a What’s up? A virtual site specific theatre realizzato a Enschede (Olanda) nel 2010 dove gli attori in proiezione si muovevano costretti dentro una scatola che raccoglieva la loro intimità, incastonata tra le pareti dell’edificio in un’atmosfera surreale kafkiana. O ancora in Jump! dove la facciata dell’edificio diventa una sorta di parete di free climbing per attori che saltano, si arrampicano, si nascondono tra le finestre. Per l’opera Idomeneo re di Creta, da Mozart, Urban screen usa un’architettura di luce in mapping che aderisce perfettamente ai volumi sui quali agiscono i cantanti lirici[8]; questi sono strutture poligonali mobili di legno bianco variamente collegate tra di loro a formare blocchi simili a delle scogliere con il riferimento al dio Nettuno dell’opera. Le proiezioni aderiscono alla struttura sia pur disomogenea per merito di un software brevettato da Urbanscreen chiamato Lumentektur.
I bolognesi Apparati effimeri realizzano invece, un cameo scenografico di gusto barocco in videomapping nella regia lirica di Romeo Castellucci per Orfeo ed Euridice (2014), ricostruendo in scena un “boschetto di verzura” incastonato in una scena completamente spoglia che riporta dall’atmosfera mesta al paesaggio bucolico degno di un quadro di Nicolas Poussin, da dove emerge una eterea figura femminile. Siamo in Arcadia, la scena si svela e il video proietta sulla scenografia con effetti speciali di grande precisione, l’illusione del vento sulle foglie, le luci sulle acque e le ombre della sera. Il barocco tecnologico di Apparati effimeri genera lo stupore e la meraviglia riservati ai grandi affreschi del passato ed è perfettamente in sintonia con quest’opera che privilegia una partecipazione emotiva e sensoriale: lo schermo accoglierà la proiezione video in diretta della donna in coma vigile, che rappresentava nella finzione teatrale, il “doppio” contemporaneo dell’Euridice del mito[9].
Robert Lepage, acclamato regista teatrale e cinematografico, che usa sistemi tecnologici in scena, applica il videomapping nel suo più ambizioso progetto: la regia lirica per la tetralogia di Wagner (L’anello dei Nibelunghi) prodotta per il Metropolitan di New York (2014). Protagonista incontrastato della scena è l’enorme macchina progettata per l’intera tetralogia, vera opera d’ingegneria meccanica, fatta di 45 assi di 9 metri di fibra di vetro ricoperta di alluminio, mobili autonomamente l’uno dall’altro e che si sollevano e ruotano a 360° grazie a un complesso sistema idraulico che permette un gran numero di forme differenti, diventando la spina di un dragone, una montagna o il cavallo delle Valchirie. La chiameranno la Walhalla machine[10]. Sulla superficie dei singoli assi, sono proiettate immagini in videomapping a mostrare alberi della foresta, caverne, le acque del Reno, le luci del Walhalla.
IAM project: un progetto europeo dedicato al videomapping.
IAM (International Augmented Med) è un progetto internazionale di cooperazione che coinvolge quattordici partner di sette Paesi (Italia, Spagna, Egitto, Giordano, Libano, Palestina, Tunisia) nel Bacino del Mediterraneo ed è sostenuto dal programma ENPI CBC Mediterranean Sea Basin (2007-2013) [11]. Capofila del progetto è il Comune di Alghero; l’altro partner italiano è il Diraas dell’Università di Genova[12]. Il progetto sviluppa un ambito d’innovazione e scambio di competenze tecniche tra i diversi partner con l’obiettivo di promuovere grazie alle tecnologie, il turismo e l’economia dei diversi Paesi. Il fulcro dell’attenzione di IAM è l’incremento promozionale di beni culturali e di risorse naturali in una visione di cooperazione internazionale, attraverso l’uso della Realtà Aumentata (AR) e delle tecniche multimediali e interattive, con un’attenzione specifica proprio al videomapping. In questi anni sono stati attivati workshop specifici, Festival di realtà aumentata, progetti pilota in ciascuno dei Paesi partner.
La città di Byblos in Libano ha ospitato presso il vecchio porto, il primo evento IAM di videomapping nella cornice spettacolare di un Festival nell’estate 2013. La proiezione, della durata complessiva di sei minuti, avvolgeva interamente due muri, resti di antiche costruzioni, posti a circa 80 metri di distanza dalla banchina del vecchio porto dove era collocato il pubblico; dato il successo dell’evento, un secondo videomapping è stato realizzato nell’estate 2014. Ad Alexandria d’Egitto dopo un workshop preparatorio in cui erano coinvolti tra gli altri, alcuni studenti della Facoltà di architettura coordinati dal professor Yasser Aref, ha avuto luogo nel maggio 2014 uno spettacolare videomapping sulla facciata della più famosa e antica biblioteca al mondo, la Biblioteca Alexandrina[13]. La tematica della proiezione, che univa suoni e effetti di luce con elementi digitali, era la storia di Alessandria dalla sua fondazione fino alla fine del periodo classico.
Agli inizi di ottobre è stata invece la città catalana di Girona ad ospitare ben tre eventi originali specifici di videomapping all’interno delle Jornades app. Oltre al videomapping del gruppo di Barcellona Koniclab thtr fondato da Alain Bauman e Rosa Sanchez, partner tecnici di IAM, Girona ha ospitato il videomapping su Casa Pastors dei due vincitori del subgrant.
Marko Bolkovic con il suo gruppo VISUALIA proveniente dalla Croazia, ha presentato un mapping di grande impatto visivo totalmente realizzato in 3D, dal titolo Transiency, ispirato alla metamorfosi della vita, mentre il francese Yann-Loïc Lambert, video designer, ha proposto un videomapping narrativo dal titolo Records. Mentre Lambert ha guardato al racconto filmico, trattando la superficie parietale come uno schermo cinematografico o una fotografia da riempire di poetiche immagini di memorie della città e anche di disegni, Bolkovic ha azzardato un mix esplosivo di effetti optical bianco e nero e forme dai colori flashanti. In Transiency appare il classico gioco di scomposizione dei singoli elementi architettonici (mattoni, pietre, finestre) e trovano spazio una serie di riferimenti alla natura: le nubi, l’acqua, l’albero con le radici e infine la forma più semplice di vita (un bruco) che diventa una forma simbolicamente sempre più complessa (la farfalla). La disegnatrice Ania Ladavac ha creato immagini di fiori e infiorescenze per significare la metamorfosi, poi le illustrazioni sono state scansionate, vettorializzate e importate per creare un modello 3D. Nel finale, Casa Pastors si ricopre di colori e texture che sono un omaggio alla regione che ospita l’evento.
Le regole per una drammaturgia del mapping: Koniclab
Sempre alla ricerca di nuovi territori tecnologici da esplorare e sperimentare drammaturgicamente (dal videoteatro alla videodanza interattiva alle videoinstallazioni alle performance telematiche) la compagnia catalana Koniclab approda negli ultimi anni al videomapping sia negli spazi pubblici che nei teatri. Il videomapping di Koniclab realizzato nell’ottobre 2014 a Girona è legato al progetto europeo IAM ENPI CBC MED di cui Koniclab è partner. La proiezione è avvenuta sopra una facciata di un palazzo storico del XVII secolo. Ramificazioni, colori e un pulsare di luci e creazioni visive in movimento anima la proiezione di Processus bilatéral d’influence che ha al centro il sentimento della vita, essendo la struttura un edificio che negli anni ha ospitato un antico ospedale e una farmacia. I corpi dei danzatori proiettati ci riportano anche alla dimensione teatrale, e la struttura diventa un immenso palcoscenico in uno spazio pubblico. La narrazione visiva suggerisce spazi e tempi lontani ed evoca territori ultraterreni resi tangibili da geometrie e ramificazioni che lambiscono l’architettura reale e virtuale insieme, in una composizione sonora e visiva che unisce elemento astratto e reale insieme, immagine e immaginazione. Il rosa è il colore dominante che mescola il sentimento di vita a quello di amore.[14]
Così Konic definiscono le tre regole per una drammaturgia del mapping:
–l’inter-relazione immagine-oggetto-supporto volumetrico, trasmette il fatto che la drammaturgia è focalizzata sull’immagine “mappata” sull’oggetto. Questo per sottolineare che l’oggetto aumentato si è trasformato in un ibrido immagine-oggetto. La narrazione visiva è guidata da questa articolazione oggetto-immagine, e non solo dall’immagine. Quindi, l’oggetto dovrebbe idealmente essere correlato con le composizioni visive proiettate su di esso.
-il concetto di mapping: è una pelle fatta d’immagini e luce che coprono l’oggetto volumetrico. Una pelle dinamica e flessibile, che si adatterà come un vestito per l’oggetto su cui è proiettata o visualizzata.
-la tecnologia, nel comprendere che la mappatura sta costruendo un dispositivo percettivo composto di luce, immagine, suono, software, hardware, spazio e tempo, architettura, attori e spettatori, e tutti questi elementi insieme, crea un insieme esperienziale e relazionale.
Konic conclude che:
Il mapping deve convivere con il testo drammaturgico, con le azioni dell’attore, con la coreografia e i suoni prendendo parte alla narrativa complessiva del lavoro scenico e contribuendo alla tensione e allo sviluppo della performance attraverso le evoluzioni visive. Possiamo considerarlo come uno spazio trattato, o come una scenografia dinamica, che porterà storie, azioni nel tempo, dalla sua evoluzione audiovisiva. I media coesistono con gli attori e /o ballerini e portano alla performance un altro strato in una gerarchia orizzontale con gli altri elementi che la compongono. Possiamo pensare a un lavoro globale, in cui le diverse discipline e materiali partecipano alla narrazione e composizione dell’opera. Il pubblico, dalla nostra esperienza, percepisce la performance nel suo complesso ed è spesso sorpreso dal dialogo intimo e in qualche modo magico, stabilito tra luce -immagine-suono- oggetto o architettura- e gli attori / corpi, che porterà la giusta proporzione tra la scala umana e la scala umana-finzionale. Quando la proiezione è interattiva, questa offre una partecipazione diretta del pubblico nella performance, che poi coesisterà con gli attori e poi potrà diventare una parte del mondo fittizio, e fare un ulteriore passo per diventare da soggetto sociale a parte attiva dello spettacolo.
[1] L.Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares, 2000
[2] S. Arcagni, Urban screen e live performance in “Nòva-Il sole24 ore”, 11 marzo 2009.
[3] G.Boccia Artieri, La sostanza materiale dei media: video culture digitali tra virtuale e performance, Pref. a A. Darley, Videoculture digitali, Milano, FrancoAngeli, 2006, p.12.
[4] A. Darley, Videoculture digitali, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp.71-74.
[5] L’anamorfosi è una rappresentazione in prospettiva realizzata su un piano o su una superficie curva, la cui visione è possibile solo da un punto di vista non perpendicolare al piano su cui si trova l’oggetto, pena la visione deformata di quest’ultimo. Come ci ricorda Baltrušaitis: L’anamorfosi – parola che compare nel Seicento, benché si riferisca a combinazioni già note da tempo – inverte elementi e princìpi della prospettiva: essa proietta le forme fuori di se stesse invece di ridurle ai loro limiti visibili, e le disgrega perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato. Il procedimento si afferma come curiosità tecnica, ma contiene una poetica dell’astrazione, un meccanismo potente di illusione ottica e una filosofia della realtà artificiosa. J.Baltrušatis, Anamorfosi o magia artificiale degli effetti meravigliosi, Milano, Adelphi, 1969, p. 13.
[6] T. Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli, Milano, 1992, p. 48.
[7] Cfr.F. Marotti Lo spazio scenico. Teorie e tecniche scenografiche in Italia dall’età barocca al Settecento, Roma, Bulzoni, 1974.
[8] Su Urbanscreen vedi l’intervista su www.annamonteverdi.it
[9] Sullo spettacolo cfr. la recensione di Anna Monteverdi, L’Orfeo di Castellucci, Musica celestiale per un angelo in coma vigile in “Rumorscena.it” giugno 2014.
[10] Sulla regia di Lepage vedi A.M.Monteverdi, Rimediando il teatro con le ombre, con le macchine, con i new media, La Spezia, ed. Giacché, 2012.
[11]Sul sito di IAM http://www.iam-project.eu/ si trovano tutte le informazioni del progetto.
[12] Il Comune di Alghero ha in programma l’evento finale del progetto nell’ottobre 2015 che vedrà workshop dedicati al videomapping e realizzazione di proiezioni architetturali su alcuni edifici storici ed una mostra di videoarte.
[13] Per il videomapping sono stati usati 3 proiettori Sanyo, 20.000 Ansi Lumen con lenti 3D. Il software usato per fare modellazione, mapping e proiezione è stato 3DMax, After Effects e Mad Mapper. Vedi mia intervista a Mr Yasser Aref sul sito di IAM.
[14] Intervista a Konic di Anna Monteverdi dal sito IAM project.