Il videomapping non è tramontato ma si è trasformato, dando vita a innumerevoli forme di “projection art” diventate “projected AR art”.
La prima trasformazione riguarda la tecnologia sempre più semplificata e accessibile e il software sempre meno complicato da usare (scanner 3D da montare direttamente sul proiettore per scansionare la scena); la seconda riguarda la modalità di storytelling.
Lightform ha reso questo processo con un sistema hardware e software che permette di scansionare la scena e aggiungere contenuti anche interattivi, semplice e veloce; questa modalità sempre più automatizzata di creazione del videomapping sta portando a una normalizzazione della tecnica, usata in modo massiccio.
Anche gli oggetti in movimento e non rigide o uniformi possono essere mappati nell’ambito della Dynamic projection mapping da un paio di anni a questa parte con un software di motion tracking e grazie alla ricerca dell’ Ishikawa Watanabe Laboratory. La differenza come spesso accade, la faranno i contenuti e l’originalità di proposta estetica.
In questo senso vale la pena di parlare dei videomapping di Akira Hasegawa con i suoi Digital (Digital Kakejiku) basati sullo spirito giapponese della transience. Il Kakejiki è una antica forma d’arte pittorica realizzata su rotolo di pergamena. Proiezioni su architetture a stretto contatto con la natura come il Kanazawa Castle, vengono “aumentate” da immagini aventi un movimento lentissimo che sembra ben armonizzarsi con il tema filosofico giapponese dell’impermanenza. Dice l’autore: D-K is an art seen with the mirror of the mind -though there is physically a limit in D-K of the seen space- and it is realization of the soul of Zen meditation culture.
Elenchiamo alcuni progetti di Media Urban Art:
1.Megaphone di E.Paquette e A. Lupien (MOMENT FACTORY).
Dallo speaker’s corner alla facciata urbana che amplifica la tua voce e la tua idea. A Montréal nel 2013 nel Quartier des Spectacles nell’ottobre 2013 viene presentato un progetto di arte urbana politica che si concretizza a seguito di una mobilitazione sociale nel 2012 al tempo del “Moble Spring” che portò nelle strade a manifestare migliaia di giovani e studenti. Quest’opera già nel 2013 metteva in discussione il vero potere dei social richiedendo come alternativa, un ritorno alla piazza luogo naturale per una rivendicazione politica e sociale. Si concretizza come una gigantesca proiezione interattiva di parole nella facciata dell’UQAM con 8 proiettori da 20 mila ansi lumen. Come i partecipanti prendono la parola al microfono la loro voce viene trasformata in tempo reale in immagini di scritte proiettate, lasciando una traccia di ciò che ha detto. L’attività straordinaria del gruppo spazia da show multimedia a pubblicità a videomapping spettacolari a visual giganteschi per concerti col motto di DO it in Public https://momentfactory.com/work/shows/signature-shows
2. Al Pomezia Light Festival la meravigliosa “scatola del vento” del duo FANNIDADA,
SCATOLA DEL VENTO è una proiezione a energia eolica su schermo artigianale montato su una bicicletta. Questo progetto che manipola video in modo analogico artigianale (da loro riassunto con l’espressione Analogico metamorfico) unisce tante anime, dall’utopistica macchina del sogno alla macchina celibe di Duchamp dal sapore avanguardista fino all’amore per l’energia (e arte) pulita, verde. Come ha commentato Lino Strangis, uno degli spettatori del Pomezia Light Festival: Quest’opera sopravviverà al disastro energetico, quando tutti i Big Data scompariranno dalla faccia della Terra!. Animatori della Comunità Creativa Cavallerizza Irreale di Torino hanno un’idea di ritorno all’analogico seguendo le riflessioni della studiosa di etsetica, Rosalind Krauss: Reinventare il medium:
Quando il nostro percorso nelle arti visive è approdato al video abbiamo sentito la necessità di ristabilire un contatto fisico con le immagini ormai annullato dalle tecnologie digitali. Coniugare la fisicità della materia con l’astrazione del digitale è un cammino che abbiamo intrapreso alla ricerca di un dialogo, non privo di complessità, tra due mondi all’apparenza molto lontani nel tentativo di definire un approccio post-digitale.1Ispirati dal testo di Rosalind Krauss “Reinventare il medium” abbiamo rivolto la nostra ricerca sul segnale video che utilizziamo come materia sulla quale intervenire direttamente senza nessuna mediazione di altre tecnologie se non quelle necessarie a trasmettere il segnale. Per stabilire un contatto con le immagini digitali occorre innanzi tutto convertire il segnale video digitale (HDMI) proveniente dalla videocamera in formato analogico (VGA); quindi interrompere il flusso elettrico che consente la visualizzazione delle immagini per poi ristabilire il contatto utilizzando le mani come conduttore; infine riconvertire il segnale analogico (VGA) in formato digitale (HDMI) per la registrazione. Il contatto delle mani con il segnale analogico dà origine nelle immagini a variazioni cromatiche uniche ed infinite che abbiamo denominato Analogiche Metamorfosi. Tutto questo è possibile grazie alla presenza dell’acqua nel nostro corpo che, in virtù delle sue caratteristiche fisiche di conducibilità elettrica, contribuisce a trasferire una parte di noi, della nostra storia, delle nostre emozioni nelle immagini. Così l’acqua, scomparsa dalla tecnica di produzione delle immagini digitali, torna a prenderne parte sia sul piano fisico che simbolico. Non solo le mani consentono di ristabilire un contatto con le immagini digitali, ma è possibile utilizzare anche altri elementi solo se questi contengono acqua o è l’acqua stessa, mentre preferiamo non utilizzare i metalli poiché per le loro caratteristiche fisiche di conducibilità elettrica non necessitano di acqua. Ogni elemento che entra in contatto con l’immagine non è solo un semplice strumento che consente il passaggio della corrente elettrica ma, con il suo carico di storie legate alla percezione, alla sensibilità ed alla conoscenza umana, porta ad una nuova produzione di senso, forse ad un vero e proprio linguaggio. Il flusso cromatico che si genera da questa interazione rende l’immagine digitale instabile e imperfetta ma risponde a un «tentativo di trovare modi di raffigurare il mondo che sfuggano alla trappola del naturalismo» e della semplice rappresentazione poiché crediamo che “per comprendere com’è davvero il mondo bisogna interessarsi ai diversi modi in cui vengono create le immagini”.