Il progetto di Teatro Potlach diretto da Pino di Buduo e che ha invaso letteralmente la cittadina di Rovereto per alcuni giorni (3-4-5 luglio) coinvolgendo gli abitanti e oltre trenta associazioni in un fare multi-artistico assai partecipato, si chiama Città invisibili, bellissimo riferimento poetico all’omonimo romanzo di Italo Calvino del 1972 che racconta di una conversazione immaginaria tra Kublai Khan e Marco Polo sui resoconti delle città visitate durante i lunghi viaggi ai confini dell’Impero e che scopriamo essere niente altro che uno sguardo sognante sull’unica città amata: Venezia.
Rovereto come Venezia diventata per un giorno città invisibile, città nascosta, città della memoria e del piacere ha ospitato storie in forma di poesia, musica, danza e colori proiettati, incastrate negli anfratti della vita quotidiana, dentro corti inaspettate e giardini chiusi, sulle facciate di palazzi antichi, popolari o nobiliari che testimoniano la dominazione veneziana e quella austriaca. Gli interventi voluti da Teatro Potlach con l’ausilio tecnologico-creativo dell’OPENLAB di Luca Ruzza e del suo gruppo di giovani tecno creativi (Vincenzo Sansone, Gioele Stella, Francesco Bruno Viteri, Luca Cristiano) hanno amplificato la città storica evidenziandone in forma di luce e proiezione video, i segni architettonici. Lo staff numeroso ha reso possibile una grande quantità di eventi variegati, interventi artistici che ridefiniscono luoghi e spazi urbani senza privarli della loro specifica misura, della loro identità e soprattutto della comunità che la vive la quale si è unita per l’occasione per fare musica, cantare, ballare. Installazioni sonore e proiezioni su tappeti e su edifici diventano spettacoli di son e lumière, apparati effimeri, macchine di divertimento, attrazioni meccanizzate che ricordano le fantasmagorie e i parchi di divertimento d’inizio secolo.
Rovereto nel 1411 passa sotto il dominio della Repubblica di Venezia, poi diventa parte dei possedimenti dell’Imperatore d’Austria e conosce il suo massimo splendore nel 1700, grazie all’attività legata alla seta e all’introduzione della coltivazione del gelso. Allo sviluppo economico è legato quello artistico ed intellettuale rappresentato da figure quali Tartarotti, Vannetti, Rosmini, Gasparantonio Baroni. Economia e cultura. artigianato e filosofia segnano il percorso studiato nei minimi dettagli, con una cura antropologica da Pino Di Buduo con la sua struttura teatrale (con NATHALIE MENTHA, DANIELA REGNOLI, MATTEO ANTONUCCI, IRENE ROSSI, ZSOFIA GULYAS, SIMONA VITALE, PAOLO SUMMARIA, SARA ALLEVI, ALESSANDRO CONTE, MARCUS ACAUAN, GIOVANNI DI LONARDO) che diventa per l’occasione una compagnia di comici dell’arte, di artisti di strada, di abili affabulatori ciascuno portatore di “storie” per il visitatore occasionale e inconsapevole, recuperando l’idea del divertimento popolare volto principalmente a provocare stupore e meraviglia. Un’operazione che ha un’evidente forza simbolica comunicativa mirata a creare un dialogo tra viaggiatori e abitanti e a tracciare mappe di percorsi sensibili privi di GPS.
Così partendo dal sagrato della cattedrale, Pino Di Buduo in veste di maestro di cerimonie, dà il via a questa insolita “rivitalizzazione” della città: un percorso in forma di miriadi di “narrazioni” che intrecciano videomapping di colonnati e facciate e cori alpini, unendo la tecnologia più spinta (l’animazione grafica 3D) con la tradizione perché come ricordava il compianto Paolo Rosa:
“La città ideale del nostro tempo non può prescindere dalla tecnica. Il dialogo con la tecnica diventa essenziale per non lasciare l’incanto delle nostre belle città alla sfera della nostalgia e del ricordo immobile. Il confronto tra tradizione e tecnologia diventa essenziale. Ci può aiutare a restituire una vitalità urbana proiettata nel futuro”.