Dopo la prima sfavillante edizione del Pomezia light Festival organizzata lo scorso anno da Opificio in collaborazione con il Comune (ventimila presenze in tre giorni, 14 opere e 30 artisti coinvolti, e 4 masterclass con esperti), che ha riunito giovani artisti, organizzatori, progettisti per lavorare insieme a un’idea nuova di città su cui puntare anche per sviluppare una diversa economia del territorio, quest’anno il Festival (che aveva anche un significativo titolo: Smart city) ha ripetuto se non addirittura aumentato, il numero di spettatori e il consenso generale all’evento artistico. Prova della riuscita dell’evento è anche l’attenzione di tantissimi giornali e media sull’evento.
Pomezia Light Festival si colloca così tra i primissimi festival di luci italiani e sale sul podio principale per la qualità dei progetti artistici selezionati e per la comunicazione dell’evento. Opificio ha voluto estendere anche ai ragazzi delle scuole superiori la possibilità di fare esperienza di cinema, video e fotografia coinvolgendoli a documentare le tre giornate di Festival e dedicando loro giornate di studio con esperti del settore. I risultati si vedono sui social: le immagini del festival fanno capolino ovunque, sparse tra instagram e twitter. Nella serata di apertura del venerdì 21 settembre e nella sera di sabato e domenica, un mare di persone ha letteralmente invaso Pomezia: le luci si sono accese alle 21.30 con il videomapping sulla Torre scandito da un ricordo dell’incendio storico dell’edificio e da grafiche 2D e 3D davvero di impatto.
Intorno, ai primi piani nel Palazzo comunale adiacente la Torre Civica, piccole storie determinavano una drammaturgia fatta di luci e corpi: dalle finestre si mostravano ritmicamente figure strane, sottolineate da geometrie di luci, che si muovevano in una sintesi visiva magnifica con la regia di Roberto Renna. Erano dentro un quadro di colori, erano pitture in movimento, quasi istantanee, sogni, visioni, come in uno di quei magnifici affreschi teatrali di Bob Wilson. Teatro, luci e suoni aprono così il Festival che si snodava in vari percorsi. 15 “stazioni” ospitavano installazioni video, quadri luminosi, opere create col neon, piccole azioni interattive di luci, proiezioni sul viale alberato.
All’interno della Torre civica di Piazza Indipendenza erano ospitate alcune installazioni di light art, di glitch art, sculture digitali: percorrendo le strette scale ci si trovava dentro l’architettura più famosa di Pomezia, simbolo della città, l’ultima “città nuova” fascista nata alla fine degli anni Trenta e che è stata proprio oggetto di una conferenza in programma a cura di Daniela De Angelis. Altre conferenze hanno approfondito il tema dei linguaggi artistici: la televisione (con Roberto Renna), il suono (con Stefano Lentini), il walkabout (con Carlo Infante), il teatro (con A. Monteverdi).
Queste le opere: Art&Neon di Marco di Napoli; Trittico di Fabrizio Sorrentino; New folder di controllo remoto, L’evocazione di Carlo Flenghi, Space dislocation di Nerd Team, 1+1=III di Crono, Futuro antico di Controllo remoto (Murales), Fallen chandelier di Tilman Kuntzel, Scatola del vento di FanniDada (installazione video itinerante) PKK di Hack Lab di Terni
Poi ancora una mostra fotografica (in collaborazione con Alma Artis di Pisa) dal titolo 7 millions di Fabio Mignogna sulla violenza al femminile ospitata all’interno della libreria Odradek fino ad arrivare allo spazio aperto in Piazza San Benedetto da Norcia dove per 3 serate si alternavano alcuni gruppi per realizzare video live su un palcoscenico creato apposta con grande schermo e raccontare le inquietudini urbane e metropolitane sottolineate dal tema che univa tutti i progetti: il “collasso” dentro la “smart city”. L’arte anche quella più nuova e giovanissima si interroga su tematiche urgenti come la fragilità delle città e il loro raggiunto livello di saturazione rispetto all’industrializzazione selvaggia in atto, alla cementificazione, all’inquinamento.
Ci sono riusciti benissimo tutti gli artisti da High Files (Tommaso Rinaldi) a Sims, a Vj Alis, a Rakele Tombini e Francesco Elelino a Gabriele Marangoni. Quest’ultimo, reduce da Ars electronica di Linz ha voluto portare un progetto nuovo creato apposta per Pomezia, un live electronics dal titolo RED NOISE con video realizzati da Angela di Tommaso e gestiti live da Tommaso Rinaldi. Un progetto davvero originale, quasi destabilizzante, che crea un momento di disturbo per far riflettere sullo stato di crisi, sulla condizione di dissonanza in cui oggi viviamo le città.
https://www.facebook.com/PomeziaLF/videos/839781216146242/
Noi citiamo due installazioni che ci hanno colpito moltissimo: le Proiezioni su vapori d’acqua per l’opera Shi Shi Odoshi di Mediamash studio (Luca Mauceri / Jacopo Rachlik) in cui l’immagine sembra un effetto ottico, una specie di miraggio perché la superficie di proiezione non è qualcosa di materico ma viene creata dal vapore scaturito dall’acqua caduta da una canna di bambù o di ferro su una pentola riscaldata da una fiamma con delle pietre. Molti sono gli artisti che usano superfici di proiezione le più diverse e originali (dalle chiome degli alberi alle cascate d’acqua) e l’artista che sta sperimentando di più le proiezioni su superfici impalpabili è sicuramente LOANIE LEMERCIER; ma in questo caso l’attesa del momento in cui l’ultima goccia genera il vapore che permette all’immagine di venire letteralmente alla luce, è parte stessa dell’opera che mira a un raccoglimento interiore dello spettatore come nelle installazioni di Bill Viola.
E poi il candelabro caduto di Tilman Kuntzel che è davvero geniale nel suo corto circuito tra percezione, suono, luce. Il candelabro, delicatissimo fatto di vetri preziosi è appoggiato a terra come fosse appena caduto; dentro alcune lampadine si illuminano a intermittenza, come se stessero per terminare la loro esistenza elettrica. IN realtà sono guidate in questo ossessivo accendersi/spegnersi da una serie di starter collocati in bella mostra in una teca trasparente, manomessi per dare quest’effetto e amplificati in modo da restituire un suono che rimanda proprio al crash, alla caduta. Noi proviamo l’esperienza virtuale di una rovina, una distruzione, che non è mai accaduta, ma di cui i nostri sensi ci informano perché sono stati “ingannati”.
Tilman Kuntzel Fallen Chandelier
Pomezia light Festival ha l’ambizione di seguire il percorso tracciato dai grandi festival europei, dalla Festa di luci di Lyon a Ars electronica di Linz fino a Visualia di Pola in Croazia; un obiettivo che sta prendendo corpo grazie alla passione dei giovani progettisti di Opificio, alla loro competenza acquisita sia sui banchi universitari che sul campo, ma soprattutto al loro desiderio di vivere la loro città in un’ottica completamente nuova, facendo crescere un’idea di economia della cultura che ha un valore immenso, creando i presupposti per una rinnovata identità del luogo da far nascere intorno alla creatività digitale e alla sua formazione. Non sarebbe sorprendente vedere affiancate al Festival le industrie del cinema, le aziende del light designing e del video per creare strutture stabili per l’alta formazione professionale dei giovani. Obiettivo che renderebbe sempre più radicato e ancora più coerente un progetto di Festival come questo su cui l’Amministrazione di Pomezia ha intelligentemente investito.
Long life to Pomezia Life Festival!