La Rivoluzione è un naso a cavallo.
Il progetto di William Kentridge per un allestimento teatrale basato sul racconto di Gogol’ del 1836 Il naso (Nos), tratto dai Racconti di Pietroburgo, risale al 2008, quando l’artista sudafricano si imbatté per caso nel racconto dello scrittore russo nella libreria di un aeroporto, come racconta nel programma di sala.
Non una commissione da parte di un teatro, dunque, ma un’idea che Kentridge decise di condividere con il produttore Bernard Focroulle, allargando successivamente il progetto alla regia di un’opera musicale: quella composta da Šostakovič[3] nel 1930, al suo giovane esordio operistico, ispirandosi proprio al racconto di Gogol’. Il debutto di The Nose, con la direzione musicale del giapponese Kazushi Ono e con le scene animate di Kentridge, risale al 2010 al Metropolitan di New York. Il baritono russoVladimir Samsonov interpreta la parte del protagonista.
Kentridge, si trova perfettamente a suo agio negli allestimenti d’opera, vedi le mirabili scenografie per Il flauto magico di Mozart e per Il ritorno di Ulisse in patria (da Monteverdi): le sue stesse opere animate (i famosi Drawings for Projection) e le videoinstallazioni prevedono nella maggior parte dei casi, più che dialoghi, montaggi sonori da musiche da camera o operistiche. Kentridge “reinventa” il medium cinematografico attraverso un’insolita riscrittura del linguaggio che unisce l’arte del disegno a obsolete tecniche di animazione passo uno, allontanandosi dagli automatismi del mezzo tecnico e dai mirabolanti effetti della postproduzione computerizzata più attuale, guardando a Mélies più che a Walt Disney.
L’opera di Šostakovič prevede più di sessanta personaggi in dieci quadri scenici divisi in tre atti, un intermezzo e un epilogo. Sono quaranta i musicisti nella fossa orchestrale e quasi altrettanti i cantanti (ventisette solo per la scena settima). Come riportato dal programma, il musicista russo, sodale di Vsevolod Mejerchol’d all’epoca del teatro sperimentale di Mosca, “immagina una forma costituita da scene corte ma numerose, incatenate secondo una logica quasi cinematografica, portandoci nei diversi luoghi di San Pietroburgo“. Cinematografica, nel senso che molte scene sono giocate quasi simultaneamente in diversi punti del palcoscenico, come in un frenetico montaggio (associativo o contrastivo) di situazioni. Cinematografica anche nella costante giustapposizione di elementi sonori anche contraddittori, dissonanti. Tutta la scena, in verticale e in orizzontale, in esterno e in interno, in profondità e in superficie, con palchetti sopraelevati, scale, piattaforme e praticabili di legno (che ricorda la scena costruttivista di Ljubov Popova per Le cocu magnifique di Crommelynck con la regia di Mejerchol’d, 1922), è impegnata a raccontare una vicenda che sembra scaturita dalla fantasia di qualche proto-surrealista. Sono invenzioni originali di Šostakovič le frenetiche e folcloristiche atmosfere da spettacolo di massa, il balagan (nel XVIII e XIX secolo l’arte dei menestrelli, saltimbanchi e venditori ambulanti, parte della cultura popolare russa) che fanno di quest’opera lirica poco rappresentata, un capolavoro di quello che viene chiamato lo style russe.
La trama, che sembra anticipare tanto il teatro dell’assurdo di Ionesco quanto le metamorfosi kafkiane, vede un assessore del collegio, Kovaliov, coinvolto in una vicenda paradossale ma descritta in modo assolutamente realistico: una mattina l’uomo si trova senza il naso mentre il suo barbiere se lo ritrova dentro un panino. L’uomo si precipita a fare un’inserzione sul giornale, che gli viene però rifiutata, vista l’assurdità della richiesta. Kovaliov inizia a cercare la parte del suo corpo che si era allontanata: senza di essa si si sente depauperato del proprio potere e della propria dignità, caduto nel ridicolo, e perciò impossibilitato a frequentare “la società”.
Finché un giorno l’Assessore del Collegio Kovaliov non si imbatte nel proprio naso, che nel frattempo è diventato Consigliere di Stato con tanto di divisa sgargiante, cappello con piume e bottoni d’oro. Lo ritrova prima in atteggiamento devoto in chiesa, poi acclamato dal popolo in una parata ufficiale, trionfante a cavallo. Ma non può fare nulla, nemmeno avvicinarsi perché in fondo, rispetto al suo naso, lui è pur sempre di rango inferiore! Il problema, così come è nato, scompare all’improvviso: inaspettatamente una mattina il naso viene ritrovato da un funzionario di polizia mentre stava prendendo la diligenza per Riga. Così il naso ritorna al suo posto. Alla fine del racconto, Gogol’ spiega che “simili fatti accadono nel mondo, raramente ma accadono”.
Al racconto di Gogol’, Šostakovič aggiunge personaggi originali, come il servo di Kovaliov che nell’opera lirica ha una sua autonomia espressiva musicale popolare (suona la balalaica); o la figura grottesca del Dottore, che prima di riattaccare il naso a Kovaliov tenta di comprarlo. Inserisce anche situazioni corali, come le concitate scene della caccia al naso e quella degli avvistamenti di nasi in piazza, in cui troviamo una folla di ambulanti, affittasedie, una venditrice di dolci molestata da militari, e una sfilata di personaggi appartenenti ai più diversi strati della società russa: studenti, poliziotti, cocchieri, colonnelli… Ogni personaggio è associato a uno strumento: il Naso (tenore) a un flauto, Kovaliov (baritono) al corno e allo xilofono, il barbiere al contrabbasso.
Molte sono state nel tempo, le interpretazioni del racconto gogol’iano: oltre a quella freudiana, centrata sulla virile paura dell’evirazione, la più convincente rimane quella della satira grottesca della società zarista che l’autore mette alla berlina raccontando l’ascesa e la caduta del potere di Kovaliov: è forse questo il motivo per cui un autore dalla forte consapevolezza politica come Kentridge non poteva che guardare con interesse ai risvolti attuali del racconto di Gogol’, scritto alla metà dell’Ottocento. Anche la biografia di Šostakovič ha sicuramente giocato un ruolo chiave per Kentridge: la sua opera Lady Macbeth di Minsk fu messa sotto processo da Stalin, ritirata per quasi mezzo secolo e l’autore condannato. Passate le purghe staliniane, Il naso ricompare sulle scene solo nel 1974, a un anno dalla morte del musicista, quale parziale risarcimento morale.
Kentridge inizia a lavorare ai due maggiori temi visivi ricavati dal racconto di Gogol’ (con l’aggiunta di altre interpolazioni letterarie) e al modo in cui renderli in scena: il naso e il cavallo. Un motivo ricorrente è la scala; elemento che nasce, come raccontato da Kentridge, dopo la visione del film d’avanguardia del 1930 The Life and Death of a Hollywood extra dove una comparsa cerca con tutte le sue forze di far carriera a Hollywood. Così Kentridge:
La comparsa sale i gradini di una scala e precipita ritrovandosi di nuovo all’inizio della scala, riprova la salita e ottiene ancora lo stesso risultato, una sorta di fatica di Sisifo.Allo stesso modo io ho setacciato tutta Johannesburg cercando una scala adatta per le riprese di una particolare scena senza ottenere risultati e finendo per utilizzare la scala del mio atelier. Questa soluzione di ripiego si è rivelata poi perfetta e adatta allo spettacolo per la sua somiglianza con il podio di Lenin. Arrivato a un certo punto della lavorazione di quest’opera, non sono più riuscito a capire quello che ho utilizzato per lo spettacolo e quello che è diventato spettacolo[4].
Il naso gigantesco ha una sua dignità, un suo portamento, una sua autorevolezza. La sua massa informe ricorda quella disegnata da Alfred Jarry per il suo Ubu. La sua strana e ingombrante forma di cartapesta viene calzata in scena dal cantante-interprete (il tenore Alexandre Kravets) come fosse una maschera. Anche il cavallo è stato oggetto di numerosi studi preparatori da parte di Kentridge, che ha lavorato in particolare sul tema iconografico del cavallo quale simbolo di autorità e potere (come si ritrova nelle varie statue equestri di condottieri dal Rinascimento in poi). Pur ispirandosi al monumento equestre di San Pietroburgo, però, l’artista sudafricano raffigura un cavallo anti-eroico che compie il suo dovere senza rubare la scena al naso con la sua imponenza. Sugli schizzi per il cavallo, spiega Kentridge:
Quanto specifici devono essere dei pezzi di cartoncino affinché noi possiamo riconoscere ciò che vediamo? Una testa, una curva per il collo, qualche linea dritta per le gambe ed un ghirigoro per la coda è tutto ciò di cui abbiamo bisogno non solo per convincerci che stiamo vedendo un cavallo, ma per impregnare il cavallo degli attributi dell’animale vivente e delle immagini associate. Così mentre tentavo di fare cavalli minimali o residuali, cercavo anche di fare cavalli anti-eroici. Dei cavalli che avrebbero avuto il diritto minore possibile di essere sui monumenti[5]
Durante i vari anni di progettazione dell’opera, Kentridge ha dato vita a un mondo abitato da disegni e incisioni di nasi a cavallo, seduti al caffè, nasi con gambe, nasi che stanno in piedi su compassi, nasi come condottieri o come teste in corpi di donna, e poi ancora teste di cavallo come quelle disegnate da Leonardo o come ronzini donchisciotteschi, inseriti in contesti molteplici. Kentridge infatti li colloca in arazzi ricamati a mano, in forma di collage sopra carte geografiche, li realizza in metallo a guisa di sculture tridimensionali anamorfiche, come ombre, o disarticolati nei singoli pezzi del corpo e poi riversati in filmati video animati. Questo universo di progetti, bozzetti, disegni, acquerelli, carboncini dei protagonisti e dei diversi personaggi del racconto, sono testimoniati nel catalogo della mostra Kentridge: 5 Themes: in questi anni, hanno alimentato diverse situazioni artistiche ed esposizioni che non hanno più nulla del lavoro preparatorio per la scena, ma sono già opere compiute a sé.
Tipica è la modalità artistica di Kentridge, aperta a integrare diverse tecniche ed espansa verso nuove e ulteriori traiettorie espressive: un universo di creazione che anche per The Nose, andrà ad abitare indifferentemente le installazioni, le mostre, le performance, le conferenze-spettacolo. Come per la piéce da camera Telegrams from The Nose, l’installazione video8 Fragments round The Nose o quella su quattro pareti contigue I am not me the Horse is not mine, in cui Kentridge non si sottrae al divertissement di animare i cavalli con la tecnica dello stop motion e di inserire sé stesso nelle animazioni, nonché di “trattare” spezzoni di film russi con l’aggiunta di scritte e colori[6]. Kentridge parla di uno spettacolo in forma di collage che aveva in mente di realizzare dopo aver letto il racconto di Gogol’:
Avevo visto una produzione di The Nose, eccellente sul piano musicale, al Teatro Marinsky di San Pietroburgo, ma, durante la seconda parte, quando lo spettacolo entra nel vivo, ho notato che gran parte degli spettatori si è addormentata, come per proteggersi dal caos. In quel momento mi sono reso conto che la prima regola, per mettere in scena quest’opera è quella di seguire la storia: sapere dove siamo concretamente in qualunque cambio di scena, chi è la persona che canta, chi è il suo personaggio e cosa canta.[7]
Qua il trailer con intervista a Kentridge.
In realtà di tratta di un vero cine-montaggio di sequenze agite dagli attori e di quadri visivi e animati senza soluzione di continuità; un esempio straordinario sono le scene realizzate contemporaneamente con scenografie materiali e ombre bidimensionali: il Naso entra nella diligenza ma il cavallo che lo traina è un’ombra. Oppure, nella casa di Kovaliov formata da un letto e un armadio, appare uno squarcio di luci e di panorami da una finestra che altro non sono che proiezioni in prospettiva sghemba. La scena è un gioco di scatole cinesi che contengono i diversi ambienti: gli interni e gli esterni del racconto, la Prospettiva Nevski e l’interno della casa del maggiore o la barberia; Gogol’ infatti non privilegia un solo aspetto e un solo personaggio, ma mostra una varia umanità inserita in un contesto urbano rumoroso, con le idiosincrasia dei soggetti tipici, i burocrati, i militari, il popolo.
Kentridge non disdegna un’incursione nell’arte d’avanguardia primo novecentesca: a imporsi come cifra stilistica dello spettacolo sono più l’atmosfera storica e il contesto rivoluzionario legato a Šostakovič che non all’epoca di Gogol’. C’è la Russia del Costruttivismo, del Suprematismo, del Transmentalismo, del Cubofuturismo, con citazioni quasi letterali da El Lissitzky (il quadro Colpisci i bianchi con il cuneo, La tribuna di Lenin), dai manifesti pubblicitari realizzati con la tecnica del fotomontaggio alla Rodčenko, da Tatlin (Il monumento per la terza internazionale) e soprattutto dalla scena cineteatrale di Mejerchol’d (La terra capovolta, 1928). Guardare a Mejerch’old significa guardare a quel teatro che ha realizzato per la prima volta nella storia l’utopia della “sintesi delle arti”. Bellissimo il sipario: insieme con la set designer Sabine Theunissen, Kentridge ha realizzato con minuziosa dovizia di dettagli un enorme collage fatto di ritagli di giornali, mappe geografiche, scritte in cirillico, figure di politici mutilati curiosamente del naso e macchine dell’epoca. La maquette è stata successivamente realizzata in stampa a dimensioni appropriate in uno studio professionale, il quale però ha mantenuto il più possibile una “modalità artigianale”.
Districarsi nell’universo dell’opera realizzata da Kentridge non è facile, ma è possibile rintracciare una serie ininterrotta di segni inconfondibili del suo lavoro: le parate, le processioni in nero, le ombre animate, contestualizzate nella Russia staliniana, abitano la scena di The Nose, riempita dalla musica a tratti privata del canto e della parola. Il tema visivo della processione e del corteo è un vero topos nel repertorio di Kentridge (le famose Shadow Processions), sviluppato nelle diverse tecniche e spesso associato all’ombra o a figure nere, simboli di azione, resistenza, riscatto. Anche in The Nose la scena della “processione nera” in chiesa è una delle più toccanti e potenti, ma questa volta si tratta di corpi di attori in carne e ossa che vengono mischiati a proiezioni animate di ombre e di silhouette di corpi in preghiera: è un komos contemporaneo che racconta un mondo sotterraneo e invisibile venuto alla luce, in grado di mutare la realtà in senso rivoluzionario.
[1] William Kentridge, artista visivo contemporaneo, nasce il 28 aprile 1955 a Johannesburg, Sudafrica. Cresce in una famiglia di origine lituana ed ebreo-tedesca, in uno Stato diviso dall’apartheid. Dal 1973 frequenta l’University of the Witwatersrand, dove, nel 1976 consegue la laurea in Politica e Studi africani. Nel 1976 s’iscrive alla Johannesburg Art Foundation, specializzandosi nelle varie tecniche d’incisione e, contemporaneamente, inizia a lavorare come attore, regista e scenografo nella Johannesburg’s Junction Avenue Theatre Company. Nel 1981, lascia Johannesburg e si trasferisce a Parigi, dove studia mimo e teatro all’École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq fino al 1982. Tornato in Sudafrica, abbandona la carriera da attore per dedicarsi completamente alla regia cinematografica, televisiva e al disegno. Il 1989 è l’anno del suo primo video d’animazione: Johannesburg, 2nd Greatest City After Paris, primo dei suoi celebri Drawings for Projections. Sono nove film animati e muti che raccontano le condizioni del Sudafrica durante la segregazione; animazioni create con uno stile inventato da Kentridge stesso basato sulla tecnica dello stop motion. Nel 1992 per la prima volta Kentridge collabora con l’Handspring Puppet Company all’opera Woyzeck on the Highveld. In quest’opera attori in carne e ossa sono affiancati da marionette di dimensioni umane inventate da Kentridge e gestite sul palco dalla Handspring Puppet Company. Nel 1995 collabora di nuovo con la Handspring Puppet Company allo spettacolo Faustus in Africa! di cui Kentridge stesso è l’autore. Nel 1994, in concomitanza con le prime elezioni generali sudafricane, che segnano la fine dell’apartheid, Kentridge realizza il film Felix in Exile; film che sarà esposto nel 1997 a Documenta X a Kassel insieme aHistory of the Main Complaint. L’attenzione da parte di un pubblico internazionale per Kentridge arriva proprio a Kassel e, nel 1998 a Bruxelles, viene allestita la sua prima retrospettiva europea. Tra il 1998 e 1999 ripropone l’opera teatrale di Jane Taylor Ubu and the Truth Commission lavorando ancora una volta con la Handspring Puppet Company, con la quale realizzerà anche Il Ritorno di Ulisse in patria. Nel 2005 reinterpreta il capolavoro musicale di Mozart, il flauto magico. Nel 2008 Kentridge presenta presso il Teatro La Fenice di Venezia l’installazione (Repeat) From the Beginning, dove viene trattato il rapporto tra teatro e musica. Nel 2009 il Time inserisce Kentridge tra le 100 persone più influenti del mondo. Tra il 2010 e il 2011 sono organizzate due sue grandi mostre itineranti che viaggeranno in tutto il mondo, la prima organizzata dal National Museum of Modern Art di Tokyo e l’altra: William Kentridge: Five Themes, organizzata dal Museum of Modern Art di New York.
[2] C.Alemani, William Kentridge, Milano, Electa, 2006, p.32.
[3] Dmitri Šostakovič nacque a San Pietroburgo il 25 ottobre del 1906 ma visse a Leningrado (il nome della città dopo il 1917) e morì a Mosca il 10 agosto del 1975. Importante personalità della musica moderna russa, si formò artisticamente nel clima politicamente e culturalmente acceso della rivoluzione sovietica diplomandosi nel 1923 in pianoforte e nel 1925 in composizione. Il clima familiare nel quale cresce il piccolo Mitja (come veniva chiamato dai parenti e dagli amici più intimi) risentì molto delle idee leniniste e contribuirà non poco a stimolare il suo spirito progressista, fino a coinvolgerlo di persona. Il suo linguaggio si rifà alla tradizione e alla cultura russa, mischiandola a una propria e originalissima visione artistica. Brillante, rapida e intensa, la carriera artistica di Šostakovič culmina con le opere Il naso (1930) e Ladv Macbeth di Mcensk(1934), fra cui si inserirono alcune felici composizioni come il Concerto per pianoforte, tromba e orchestra d’archi (1933) e la Quarta Sinfonia (1936). Soprattutto in queste composizioni il musicista rivela il suo stile tagliente, la forza di un’ironia spesso drammatica e la smagliante sapienza della tecnica, che contribuì a collocare Šostakovič non ancora trentenne, fra le figure più rappresentative della cultura musicale moderna. Dal 1936 la parabola artistica di Šostakovič si scontra con dure critiche politiche. Cresciuto con la Rivoluzione di Ottobre, credeva nel socialismo sovietico, e aderì agli ideali del nuovo potere politico che aveva rovesciato l’ultimo zar. Ma nel 1935, la Pravda pubblicò un articolo sulla sua Lady Machbeth, dal titolo: “Caos anziché musica” a cui seguì il marchio definitivo di “formalismo” apposto dal regime alla sua Quarta Sinfonia.
[4] Dall’intervista in video contenuta nel documentario del Met.
[5] Intervista a Lepage per il documentario del Met.
[6] Molti dei materiali relativi alla produzione di The Nose e l’installazione I am not me the Horse is not mine erano in mostra alla Galleria Lia Rumma di Milano, in occasione dell’allestimento dedicato a Kentridge a Palazzo Reale e alle repliche del Flauto magico con scenografie di Kentridge alla Scala (2011).
[7] Intervista video per il documentario del Met.