Other identity. (Genova, Loggia della Mercanzia)
IL PROGETTO / PREMESSE
L ’importanza dell’apparenza sociale e pubblica
L’ importanza dell’ immagine anche grazie all’evolversi di quegli “elettrodomestici” che ormai ci sono indispensabili come smartphone e tablet è ormai un dato di fatto, il nostro album di famiglia è stato sostituito dagli album condivisi in rete dalle varie piattaforme; il nostro privato viene costantemente messo in evidenza esaltandone anche i più piccoli e insignificanti momenti come il risveglio, la colazione o la pausa in compagnia di un buon libro, il nostro shopping ecc. ogni nostra azione acquista una risonanza pubblica come se acquistasse valore soltanto nel momento della sua condivisione con un numero sempre più alto di “amici” che spesso neppure conosciamo e con i quali magari non ci siamo scambiati nessuna parola.
Questo disperato bisogno di “sottolineare” la nostra presenza solo in funzione della sua pubblicizzazione ha fatto si che anche la nostra immagine ne subisse una trasformazione.
Autorappresentazione del sé
Sempre di più siamo attenti ad orchestrare ciò che vogliamo mostrare di noi stessi, esaltarne certe caratteristiche nasconderne altre, siamo impegnati a costruire la nostra immagine pubblica, come fossimo tutti dei personaggi dello spettacolo o dello star system, plagiamo, pieghiamo, modifichiamo così la nostra “autorappresentazione” come fossimo quasi più attenti ad orchestrarne la messa in scena che non a viverla, come fossi più importante far emergere la scenografia della nostra esistenza piuttosto che la sua sostanza.
Identità di genere
Si manifestano e si creano così delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare del suo “personaggio”, un carattere grintoso, modaiolo, euforico, avventuroso o riflessivo, dolce, intimistico, solare o dark… così forniamo tracce, costruiamo il nostro profilo emotivo attraverso un personaggio che ci rappresenta o quanto meno vorremmo ci rappresentasse, e spesso questa nostra costruzione ci fa effettivamente credere di essere così, come se avessimo bisogno di inventare un’ immagine pubblica che ci sostituisce per avere un ruolo e un peso nel mondo.
Selfie: il narcisismo sui social network
Così la pratica dell’ autoritrarsi, del dover testimoniare attraverso la nostra immagine la nostra condizione sociale, sfocia nel “Selfie”.
L’ Oxford Dictionaries Online, ha nominato il neologismo inglese selfie parola dell’anno 2013 inserendola come nuovo termine all’ interno del vocabolario.
Sto parlando delle foto auto-scattate che ritraggono se stessi postate sul web che piacciono tanto a tutti (o quasi) gli utenti del web e che stanno riempiendo i social più utilizzati come Instagram e Facebook.
Si tratta come ormai sappiamo bene, di una specie moderna ed evoluta del classico autoscatto alla quale si aggiungono due dimensioni importanti: la dimensione della rappresentazione e della condivisione dell’immagine, infatti mentre il vecchio autoscatto rimaneva essenzialmente un ritratto privato, il selfie invece è pubblico.
Nata negli anni 2000 con la diffusione dei primi social network come per esempio My Space, con il onali in rete, l’avvento di Facebook, con la sua immagine del profilo ma anche degli smartphone dotati di fotocamera frontale sono stati decisivi per l’affermazione dell’attività di scattare selfie che oggi conta solo su Instagram 73,925,900 post. quale si iniziava a pubblicare le proprie informazioni pers
All’ interno del web si condividono gli autoscatti migliori di sé per la ricerca di gratificazione personale e un narcisismo che sfiora quasi la patologia a cui si aggiunge anche quella dell’approvazione altrui espressa attraverso il numero dei “mi piace” ottenuti per ogni autoscatto.
La tendenza quindi è quella di sentirsi approvati in primis dagli altri e poi da noi stessi, quantifichiamo nei like il grado e la qualità del nostro potere seduttivo, della nostra personalità e del nostro “personaggio”.
Perché tutto è pubblico, nulla celato o omesso se non forse la nostra vera natura il nostro essere profondo.
Identificazione del sé
Da sempre l’artista è sensibile ad argomenti quali l’identità e la comunicazione legate alla sua immagine, ma ora più che mai egli è indotto a confrontarsi con se stesso e a mettere in discussione la sua autorappresentazione.
Lungo è il percorso di riflessione su tale tema: tornando indietro nel tempo si può far riferimento alle ricerche di Cindy Sherman (Glen Ridge, 1954), artista, fotografa e regista statunitense, conosciuta per i suoi autoritratti concettuali (self-portrait), che forse per prima ha potentemente sottolineato questo aspetto di spersonalizzazione della propria immagine assumendo nelle sue opere ruoli di volta in volta differenti; per poi passare a Nan Goldin (Washington DC, 1953), che si afferma come una delle maggiori esponenti di un’espressione artistica a favore della completa identificazione tra arte e vita, utilizzando la fotografia come un “diario in pubblico” a documentazione della sua esistenza, a partire dal suicidio della sorella Barbara Holly nel 1965.
Senza poi dimenticare Francesca Woodman (Denver, 1958 – New York,1981) che, nonostante la sua breve vita, ebbe influenza sull’arte di fine XX secolo concentrando il suo lavoro soprattutto sul suo stesso corpo e sull’ambiente circostante, riuscendo spesso in una vera e propria fusione.
Molti altri sono gli artisti che si potrebbero citare, ma questi sono i principali punti di riferimento delle numerose ricerche sviluppatesi nel corso degli anni fino a giungere alle recenti curiose citazioni dell’attore e artista James Franco, che nella sua prima opera fotografica (James Franco’s New Film Stills) si rifà, reinterpretandola, alla prima storica serie di Cindy Sherman, i Film Stills; oppure alle opere del fotografo Sandro Miller, che ha selezionato alcuni tra i più famosi ritratti di sempre, ricreandoli con John Malkovich (attore, regista, produttore cinematografico e teatrale, nonché stilista, statunitense), come protagonista. «Malkovich, Malkovich, Malkovic» è il titolo del progetto che vuole essere un omaggio ai grandi maestri della fotografia.
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono quindi messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione che viene puntualizzato, sottolineato, raccolto, selezionato come a voler fermare schegge impazzite che travolgono il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo.
Francesco Arena
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