Come si dà l’anima a un personaggio virtuale, di Giacomo Verde.
Pubblicato in A.M.Monteverdi, Nuovi media, Nuovo teatro, Milano, FrancoAngeli, 2011.
Bit è un burattino virtuale governato da un cyberglove, ovvero un guanto con sensori. E’ nato 15 anni fa e ha animato molte situazioni (al Museo della scienza di Napoli) e ora è diventato uno spettacolo teatrale per bambini (Bit, Bold e Biancaneve, produzione Giallomare Minimal teatro con Giacomo Verde e Renzo Boldrini). Bit fa parte del Progetto Euclide, ideato e coordinato da Stefano Roveda (Studio azzurro) dal 1993, con la collaborazione artistica di Giacomo Verde e attualmente gestito da Antonio Bocola di “E-tica: sistemi interattivi e interfacce naturali. Ha partecipato a Italian’s Got Talent, Canale 5.
Bit, e prima di lui gli altri personaggi virtuali della famiglia Euclide, sono stati creati dall’incontro con il pubblico. Ricordo che a volte provavo delle battute, prima di incontrare le persone, ma spesso poi, non funzionavano come immaginavo perché il rapporto che si stabiliva con la gente era diverso da come mi aspettavo. Specialmente i primi tempi. Adesso infatti quando “prendo in mano” un nuovo personaggio mi limito a inventare e provare le gag visive (le entrate, le uscite, le trasformazioni, le smorfie possibili) ma quasi mai le battute perché in effetti le battute me le suggerisce il personaggio nel momento dell’incontro con il pubblico. Anche per questo dico che sono il suo “schiavo”. In effetti quando animo Bit mi trovo a dire cose che altrimenti non direi, a fare battute o a sollecitare confidenze che con qualsiasi altra “maschera” (perché in effetti di una maschera elettronica si tratta, piuttosto che di un burattino) non potrei fare. Con Euclide-Bit ho potuto sperimentare il gioco della “comunicazione teatrale” fuori dai tempi e dalle tecniche imposte dal palcoscenico. Ho capito fin dall’inizio che non si trattava di fare uno spettacolo o di fare scherzi tipo “specchio segreto” (anche per questo abbiamo scelto io e Stefano Roveda, di tenere l’animatore sempre visibile) perché la possibilità offerta da questa “maschera elettronica” è quella di far “recitare” anche gli spettatori: è una maschera doppia che trasforma anche il pubblico da passivo ad attivo. Infatti i momenti più interessanti e divertenti, sono quando le persone dialogano con il personaggio dicendo di essere altro da quello che sono, o quando inventano spiegazioni fantastiche per rispondere alle risposte di Bit.
Sarebbe stato facile inventare delle gag tipo cabaret, ma siccome penso che una delle caratteristiche delle nuove tecnologie sia la possibilità di creare interattività, ho cercato di sviluppare il più possibile un altro aspetto della performance: per me la bravura di un animatore-schiavo di Bit, infatti, sta nella capacità di far giocare la gente, di farla parlare, di riuscire ad attivare la comunicazione e il dialogo anche tra le persone che si trovano di fronte allo schermo, nel riuscire cioè a mettere a proprio agio chiunque. L’animatore di Bit deve saper ascoltare prima di saper parlare e animare.
E’ incredibile quanto si possa rimanere in silenzio animando Bit; proprio come quando si parla con un amico: il silenzio è una pausa per far nascere nuovi pensieri e non un vuoto da riempire. Inotre mi sono accorto che, per animare Bit, bisogna anche avere dimestichezza con il mondo informatico, per due motivi: primo perché non si rimane intimoriti di fronte al computer che genera il personaggio; secondo, perché la gente pretende da un personaggio simile, di avere anche informazioni sui computer. Un’ultima caratteristica, ma fondamentale, è non dimenticare mai che il personaggio e l’animatore sono due cose diverse.
Una volta mi è capitato di salutare un bambino che si era fermato molto tempo a parlare con il personaggio. L’avevo fatto così, d’istinto, perché mi pareva ormai di conoscerlo e avevo l’impressione che anche lui mi riconoscesse. Ma mentre lo salutavo mi rendevo conto del suo imbarazzo nel rivolgermi la parola “fuori dal gioco”. In effetti lui aveva parlato con Euclide-Bit e non con me. Un altro esempio. A volte accade che qualche bambino non sia contento delle risposte o del comportamento del personaggio, allora viene al tavolo da dove lo muovo e mi chiede con un tono di voce e atteggiamento diverso da quello che usa con Bit, di far cambiare le reazioni del personaggio. Dopodiché torna di fronte allo schermo e continua a dialogare con Bit, quasi con la consapevolezza di parlare con un personaggio che usa un umano e non viceversa. Infatti l’umano è per così dire, lo “schiavo” di Bit.
Peccato che certi adulti non si rendano conto della bellezza di questo gioco!