Questo terzo numero di Connessioni Remote dedicato alla Liveness in tutte le sue accezioni, in tutti i suoi formati, compresi quelli introdotti o re-inventati dalla pandemia globale che ridefiniscono i tratti della on line performance estesa anche alle piattaforme social, sancisce una sempre più stretta collaborazione con l’Università di Urbino “Carlo Bo”. Infatti, curatori di questo numero sono Laura Gemini, professoressa Associata di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e Stefano Brilli, ricercatore e assegnista di ricerca presso la stessa Università. La Gemini, che si è occupata del tema della digital liveness in numerosi saggi, insieme a Stefano Brilli, e con Vincenzo Sansone editor in chief della rivista e docente a contratto dell’Università Statale di Milano, ha lavorato a selezionare i più significativi contributi arrivati tramite call, sui gradienti della liveness teatrale. Grazie anche ai peer internazionali ne è nato un corposo numero che dà la dimensione di un fenomeno di vasta portata, non certo nato in questo momento storico ma sicuramente fortemente influenzato dalle nuove abitudini digitali e dai nuovi pubblici on line.
Abbiamo stretto un’alleanza significativa, quindi, con ambiti disciplinari non espressamente collegati al settore scientifico disciplinare teatrale (L-ART/05), aprendoci appunto, agli studi sociologici e mediologici, che per la natura delle pratiche artistiche analizzate (che si avvantaggiano dei nuovi media digitali e on line) si prestano a interpretazioni altre rispetto a quelle connesse con gli studi della teatrologia classica e della Nuova Teatrologia (che include i Performance Studies). Già Marco De Marinis nel 2008 nel volume Capire il teatro aveva auspicato un’apertura degli studi teatrali verso le scienze umane e sociali[2] e persino verso le neuroscienze. Riteniamo che la partita messa in campo dalle scienze e dalle tecnologie attuali meriti davvero un diverso punto di osservazione: parliamo della necessità di avviare un processo interpretativo orientato non alla mera lettura di uno specifico fenomeno teatrale, ma alla sua comprensione globale. Tale comprensione non può che arrivare da un approccio critico trasversale, osservando, per esempio, l’impatto sociale ed etico delle innovazioni tecnologiche, come queste influiscano su politica e società, la qualità relazionale delle proposte e la loro inclusività, oltre al ruolo dell’artista in questo cruciale momento di cambiamento culturale e sociale.
Rinviamo all’introduzione di Laura Gemini e Stefano Brilli la spiegazione e il dettaglio della metodologia di ricerca, nonché i temi collegati ai contributi e relativi linguaggi adoperati. Ci piace sottolineare come sotto “l’ombrello” di questo numero di Connessioni Remote e in generale, tra i collaboratori interni (redazione e comitato scientifico) ed esterni (peer e consulenti) della rivista, si radunino alcuni tra i più importanti studiosi di teatro intermediale italiano e internazionale. E che tra gli autori selezionati siano presenti non solo studiosi di chiara fama, con all’attivo monografie e importanti saggi di media theatre, ma anche curatori, artisti e ricercatori indipendenti. A riprova di un metodo di lavoro condiviso dal comitato scientifico e dalla redazione, che contrappone agli studi accademici puri, l’ibridazione con pratiche performative e curatoriali. Sulla base di questa linea di indirizzo la rivista Connessioni Remote sarà, per esempio. un organo di informazione del costituendo gruppo di ricerca e attività ADV Arti Digitali dal Vivo che raduna ad oggi, cinquanta studiosi e creativi italiani, attivi nel settore del teatro tecnologico (o intermedia theatre). La riflessione nasce dall’evidenza che se il teatro è cambiato (anche) grazie alla tecnologia, essere unicamente esperti tecnologici o studiosi teatrali non basterà più per comprendere nella loro complessità, i processi cognitivi messi in campo da scienza e tecnologia in atto.
In virtù di questa apertura abbiamo inserito due articoli fuori peer: una recensione quanto mai approfondita della mostra di Davide Quayola a Palazzo Cipolla Roma, inaugurata a settembre 2021 a firma di Neil Harvey, pittore anglosassone ma italiano d’adozione, collaboratore di varie riviste d’arte internazionale; revisionato dalla studiosa di teatro tecnologico Susan Broadhurst, la recensione contenente fotografie realizzate appositamente in occasione del pre-opening, viene pubblicata con l’autorizzazione della rivista Body Space and Technology che ringraziamo. L’allestimento spettacolare di Quayola ripropone in una forma innovativa, la meraviglia barocca di una macchina della visione sinestetica, creata da algoritmi e intelligenze artificiali.
Il secondo contributo extra peer è stato scritto da Viviana Mele, studiosa teatrale campana, appassionata osservatrice del teatro in qualità di attrice, operatrice e organizzatrice. La Mele ha un bagaglio straordinariamente ricco, avendo lavorato per e con il Theâtre du soleil e con Franco Dragone; in questo brillante intervento scritto appositamente per Connessioni Remote, ci illustra come in un diario di memorie, il lungo e complicato processo creativo che sta dietro quegli allestimenti colossali per i quali ha lavorato e che hanno previsto tournée decennali intorno al mondo.
Infine, proprio mentre stavamo impaginando, Mariano Equizzi, filmaker, esperto di media digitali e compagno di Giacomo Verde in tante iniziative internazionali legate agli hackmeeting, ci ha mandato un vero regalo inaspettato che non potevamo non pubblicare: una sua intervista datata aprile 2006 a Giacomo (e una bela fotografia all’hackmeeting del 2000 a Forte Prenestino di Roma) che ci sembra davvero pregnante perché racconta un mondo e un modo di pensare la tecnologia a cui forse, per certi aspetti, si dovrebbe tornare; ci piace ritagliarne qua un momento e vi invitiamo, con le parole del buon Giac, a una buona lettura della rivista:
Condividere il sapere creativo è “fare opera”. È un’opera immateriale, che non si può mostrare, ma certamente regala più emozioni ed esperienze cognitive della grande maggioranza delle “opere d’arte”, su qualsiasi supporto esse vengano mostrate. Questa visione si scontra apertamente con il “mercato dell’oggetto artistico” perché una lezione, un incontro didattico, non può essere duplicato e rivenduto con il relativo plusvalore. Questo avviene quando si confonde “l’esperienza” con “l’informazione. (Giacomo Verde).