Grazie alla concessione dell’ Asia Society alla mostra su Giacomo Verde Liberare Arte da Artisti sarà presente l’opera (documentata in fotografia) di Nam June Paik, Li tai Po del 1987. Il rapporto tra Paik e Verde è stato variamente esplorato da diversi studiosi (da Amaducci a Sandra Lischi) in libri dedicati alla storia della videoarte mondiale.
Così la ricercatrice Andreina di Brino presenta per i visitatori della mostra, e sintetizza questo legame a distanza tra i due artisti:
Nam June Paik & Giacomo Verde. In continuità
1984. Nell’anno in cui Good Morning, Mr. Orwell, la prima installazione satellitare di Nam June
Paik, fa il giro del mondo, Giacomo Verde dedica al padre della videoarte il video clip WDR
Marì, girato nel corso di un viaggio in Germania. Il gioco di colori e distorsioni dell’immagine,
l’adesione a uno sguardo giocoso e demistificatore, esplicitato anche attraverso il ritmo di una
famosa canzone partenopea fuori-sistema (per questioni geografiche, tematiche e musicali), sono un
esplicito tributo all’arte, al pensiero pionieristico, dissacratorio e migrante – dentro e fuor di
metafora – di Nam June Paik. A ben guardare, però, l’intera opera tecno-artivistica di Giacomo
Verde può essere considerata un lungo e costante omaggio all’artista coreano.
Giacomo Verde ha ereditato da Paik lo spirito rivoluzionario, la creatività militante, capace, tra il
serio e il faceto, di far emergere sguardi alternativi e segni e significati plurali di media e
tecnologie. Primo, a partire dalla TV degli inizi degli anni Sessanta, ad aver messo a nudo ed
esposto la natura astratta dell’immagine elettronica, manipolandone anche il contenitore, ovvero il
monitor, l’apparecchio, la «scatola» TV, come Paik, anche Giacomo Verde ha ribaltato usi e
approcci dei/ai dispositivi elettronici, sia analogici che digitali. Ha cominciato scarabocchiando le
immagini dei telegiornali, fino al punto da renderle irriconoscibili. Ha smontato ogni meccanismo
narrativo e figurativo di taglio tradizionale; ha rovesciato l’idea dell’immaterialità televisiva, in
modo che si trasformasse nel suo opposto; vale a dire: diventasse materiale, tangibile. Per fare
questo, ne ha cambiato lo stato mettendoci letteralmente mano: convertendo il monitor, il
contenitore-schermo «da finestra sul mondo a spazio interiore, da elettrodomestico a Totem magico,
da familiare a straniero, da mito elettronico a scatola vuota, da verità a possibilità…» (Giacomo
Verde, 1992).
Dentro, fuori, intorno. Giacomo Verde come Paik, nel solco di Paik, ha gettato una
luce eloquente sul mondo delle immagini elettroniche, dei dispositivi che le veicolano e delle
modalità di sguardo sulla realtà; o quella che si presume tale.