Nel finale questo 2021 ci regala dei libri importanti che vorrei menzionare perché meritevoli di lettura (e acquisto..).
Tra questi il volume Massimo Vitali. Una storia italiana (Ledizioni) di Noemi Pittaluga, storica dell’arte e del teatro, curatrice ed esperta di intrecci tra i linguaggi: non a caso suo è il volume sul Teatro di Studio Azzurro che porta anche l’ultimo contributo del suo fondatore, Paolo Rosa (me lo regalò proprio lui nel 2012).
Massimo Vitali: una storia italiana non è, come si potrebbe credere, il catalogo di un’esposizione (se ne possono trovare molti nel sito dell’artista qua) o un volume di critica fotografica. E’ molto di più: è un’accurata indagine al microscopio dei soggetti e delle tecniche usate dall’artista e di tutto ciò che sta “dietro l’immagine”, come avrebbe detto Federico Zeri; è anche un racconto di come ci si debba avvicinare all’opera di Vitali, ricostruendone storia e cultura.
Massimo Vitali non ha bisogno di presentazioni: se qualcuno non associasse il suo nome a una specifica opera d’arte, basterebbe mostrargli una qualunque fotografia delle Beach series per farglielo ricordare immediatamente; le sue iconiche immagini scattate dall’alto a immortalare gruppi di persone in spiaggia, in discoteca, nelle piazze, nei concerti sono, infatti, parte del nostro immaginario contemporaneo, sono diventate copertine sia di riviste d’arte e moda che di libri. Vitali è anche il nome di punta di varie manifestazioni mondiali (tra tutte: Paris Photo) e le fotografie a sua firma di dimensioni gigantesche, sono sia dentro le case di grandi star di Hollywood che nei maggiori musei mondiali.
Anche se lo sembrano, le fotografie di Vitali sono tutt’altro che istantanee che immortalano l’attimo fuggente: necessitano di una lunghissima preparazione, della costruzione di uno speciale spazio di “visione” (una piattaforma situata a sette metri di altezza) e di lunghe attese; e non sono affatto confortanti cartoline dai luoghi estivi e invernali di svago, tradendo nel sottotraccia, una riflessione talvolta anche caustica, sulla società.
E proprio sul lungo processo creativo, sul sostrato culturale che anima queste fotografie che grondano riferimenti ad altre arti, dal cinema alle performing arts, che si sofferma Noemi Pittaluga, che con il suo occhio esperto identifica la storia di Vitali con una storia tutta italiana, in una lunga traiettoria che va dai capolavori del Rinascimento, alla pittura di paesaggio veneziana, dal cinema del boom economico ai fotoreportage delle stragi fasciste degli anni Settanta. In questa cornice si inquadra anche la storia personale e professionale di Vitali. La Toscana è la culla del Rinascimento e del Barocco, e Lucca, dove Vitali e la famiglia abitano e dove l’artista ha un magnifico studio in una zona ben nascosta dalle rotte turistiche, ospita alcuni tesori come lo scenografico e barocco giardino di Palazzo Pfanner, attribuito a Filippo Juvarra (1678-1736). Non è un caso che se si allarga un po’ la fotografia del suo studio, buttando l’occhio nell’armadio che custodisce i suoi libri, troveremo anche un volume su Gordon Craig, padre dell’estetica teatrale di inizio Novecento. Merito (anche) della moglie berlinese, Annette Klein, storica del teatro, appassionata di design di gioielli, che è stata una grande amica di Peter Zadek (il regista teatrale tedesco che aveva rivitalizzato il teatro della Germania dell’Ovest, scomparso nel 2009).
Qualcuno si domanderà come è possibile trovare queste “tracce” dell’antico nelle fotografie di Vitali, così ricche piuttosto, di vita di oggi, di rituali giovanili, di paesaggi contemporanei. Ebbene, ci sono (io ne avevo parlato nel blog di Vitali qui), sono sotterranee, quasi subliminali, ed è questo il motivo che le rende a noi così familiari, appunto, così “italiane”: da qua parte una ben documentata analisi della Pittaluga che non disdegna confronti tra le fotografie e i disegni teatrali barocchi dello scenografo dei principi, il “mago” Giacomo Torelli, con le sue quinte in scala ridotta per aumentare l’effetto della prospettiva e con l’invenzione che lo rese famoso, la veduta per angolo. In effetti è difficile non “leggere” le fotografie di Vitali come dei palcoscenici effimeri la cui scenografia è composta da natura e figura umana. Dal punto di vista compositivo, le fotografie di Vitali si possono interpretare anche come dei veri e propri quadri, attraverso quella “geometria segreta” dei pittori, quel disegno sotto l’opera raccontato da Charles Bouleau. Come un quadro vedutista, oppure uno scorcio fotorealista le sue fotografie sono anche delle sorprendenti illusioni ottiche, e delle perfette macchine della visione.
Ma come nota giustamente la Pittaluga, l’apparente tranquillità, serenità delle fotografie di Vitali cela un inquietante interrogativo sulla realtà riprodotta attraverso un medium: viene da chiederci cosa ci sia di “vero” e cosa di artificiale in ciò che ci circonda, quando questo viene filtrato dai mille dispositivi tecnici, esattamente come ce l’hanno raccontato Truman Show prima e oggi Don’t look up. Il volume contiene anche un’ampia intervista all’autore.
Da comprare.