Viene da inginocchiarsi davanti alle foto di Fabio Mignogna come atto devozionale di fronte alla spiritualità che emana lo scatto che sta raccontando un atto violento contro la donna e che produce non solo rabbia e angoscia, ma anche un sentimento di umana compassione per la vittima innocente. Il percorso fotografico è lungo come quello che impone la pittura con cui queste foto si apparenta strettamente: posa, luce, eliminazione del “rumore di fondo”. Concentrazione del gesto e dello sguardo della modella dritto in camera, identificazione del momento giusto, e poi lo scatto.
La fotografia nella bella mostra Seven Million presente all’Accademia Alma Artis di Pisa, è l’arte di trasformare il volto di ognuno di noi in Madonne violate e i numeri statistici in corpi arresi. Una fotografia che usa la luce come una pittura a olio, e che racconta quei fatti di cronaca che non vorremmo sentire sussurrandoli alla luce di una candela, con i volti che bucano il buio, con il biancore accecante di un asciugamano o i luccichio del monile, passando all’emozione interiore di chi osserva e a cui non è dato di sapere nulla del soggetto. Le immagini ci chiedono di fermarci e osservare quel dettaglio sul corpo che nasconde una violenza inimmaginabile perché sta intorno a noi, coperta dal silenzio complice di una comunità. Nessuna fotografia della crudeltà: capiamo che i lividi sono stati ricreati ad arte col make up. Non avremmo sopportato la vista se avessimo saputo che quei segni sui corpi giovani fossero stati davvero autentici. La fotografia compone e ritrae ciò che atterrisce passando silenziosamente attraverso la soglia emozionale, chiedendo rispetto per la vita, la cui violazione è quella umanità persa dentro le mura domestiche. Osservare è anche agire, a questo non possiamo sottrarci.Ce lo chiedono 7 milioni di vittime.
Anna Maria Monteverdi