Sarà a Castiglioncello in occasione della mostra KE’BEK-Lepage ritratti e ambienti che insieme con il videomaker, musicista e computer artist LINO STRANGIS la sottoscritta ANNA MONTEVERDI inaugurerà il video sul regista Robert Lepage frutto di un’ appassionata ricerca sulle nuove forme visive della documentazione.
Ho accolto con favore la nuova dimensione visiva di un DOCUD’ART di Strangis che va a incasellarsi all’interno di una (ancora troppo scarsa specie per il teatro) produzione di documentari cosiddetti di “creazione d’autore”, cioè documentari improntati su una narrazione visiva decisamente innovativa e creativa, rompendo le fila della classica impostazione “televisiva” canonica, informativa o divulgativa e formalmente statica.
In particolare Strangis che si muove a suo agio nel mondo del 3D e della Realtà virtuale (talvolta associata a eventi livehttps://www.annamonteverdi.it/digital/lino-strangis-partiture-spaziali-altre-musiche-per-altri-mondi-a-cura-di-veronica-dauria-macro-asilo-roma-fino-al-5-maggio/) ha provato a “incastrare”
le possibilità espressive della animazione grafica3D all’interno del genere documentaristico.
Il punto di partenza per il lavoro su Lepage sono state le parole chiave del mio libro MEMORIA MASCHERA E MACCHINA che intrecciandosi in ogni suo spettacolo “solo show”, danno vita a un universo scenograficamente complesso, macchinico, tecnologico in cui l’attore indossa “virtualmente” una maschera tecnologica per dare vita a mondi teatrali percorsi da un’infinità di “doppi” provenienti dal passato, dall’inconscio del personaggio.
Il tentativo è quello di far “indossare” ai personaggi i concetti di cui loro stessi parlano (il volto dello scenografo Carl Fillion viene letteralmente videomappato sulla sua stessa invenzione scenografica del Ring di Wagner; il palazzo della memoria di 887 si apre con un origami o come una pittura cubista e si moltiplica davanti agli occhi del regista; la maschera moltiplicatrice di personaggi viene creata in 3D e ingloba tutta la scena diventando essa stessa “attore-scena”).
Il docud’Art crea un discorso che è un vero “enunciato visivo” , che spiega “diversamente”, che ricrea un habitat confortevole per chi relega il documentario a un genere “noioso”, “superato” “obsoleto”. Il docud’Art rientra perfettamente nelle produzioni che aderiscono al tema della “Software culture” di Lev Manovich.