L’attore e il suo doppio digitale: la scena dei nuovi media secondo Anna Maria Monteverdi
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Come sta cambiando il teatro nell’era digitale? A questa domanda, in tempi di Digital Performance, Virtual (Reality) Theatre, di Digital Puppet Theatre e di molte altre sigle che provano a fotografare le ibridazioni della scena dal vivo con i nuovi media, risponde il libro di Anna M. Monteverdi, Nuovi media, nuovo teatro, pubblicato da Franco Angeli. Articolo di Massimo Marino sul Corriere della sera blog
L’autrice è una studiosa dei territori di intersezioni tra i nuovi mezzi di comunicazione e l’antica arte del teatro: a questi temi ha dedicato vari articoli nella webzine “Ateatro.it” di cui ha curato per anni la sezione Teatro e nuovi media. Già nel 2004 aveva pubblicato da Garzanti un libro fatto di scritti antologici e di schede, Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio.
In questo nuovo saggio l’impianto di fondo rimane simile: dimostrare come il teatro, già dall’antichità, si sia misurato con le macchine, “sognando” poi, nell’Ottocento di Wagner e nel novecento delle avanguardie, neoavanguardie e postavanguardie, un’opera d’arte totale che, attraverso la confluenza sinestetica di varie discipline, parlasse all’integrità dello spettatore. Il mondo digitale sembra avverare questo desiderio, avviando ibridazioni tra la presenza fisica del performer e azioni e ambienti scenici segnati, modificati, aumentati dall’intervento di nuovi media che permettono di riscrivere la realtà secondo informazioni in linguaggio binario e quindi di modificarla.
La trattazione si sviluppa in due parti centrali che, come annuncia il sottotitolo Teorie e pratiche tra teatro e digitalità, aprono questioni teoriche, ripercorrono la prospettiva storica dai tentativi delle avanguardie all’affermazione della intermedialità e di nuovi ambienti creativi e interattivi, analizzano alcune esperienze di punta in Italia e all’estero (scorrono nomi che vanno da Robert Wilson e Robert Lepage a Studio Azzurro fino a Roberto Latini, Giacomo Verde e molti altri sperimentatori italiani e stranieri). Nella terza parte alcuni protagonisti prendono la parola attraverso interviste. Entriamo allora nelle invenzioni e nelle questioni sollevate da Marcel.lì Antunez Roca, Roberto Paci Dalò, Jaromil, Critical Art Ensemble, Caden Manson e Big Art Group, Marianne Weems (The Builders Association), Konic Thtr, Klaus Obermaier, con una panoramica su creazioni che ripercorrono l’immaginario robotico, ambienti immersivi, applicazioni e invenzioni digitali per il teatro, intersezioni tra arte tecnologia attivismo politico e teoria critica, ibridazioni tra cinema televisione e teatro, sperimentazioni digitali interattive nel campo della danza.
Le questioni agitate dal libro sono molte: la scelta è di fare un catalogo ampio, rinunciando in partenza a definirle esaurientemente (anche perché molte di esse sono assolutamente aperte e controverse). Si parla di innovazioni tecniche e di riconquista dell’aura dell’arte attraverso atti che sono comunque di presenza e che vanno molto al di là della “riproducibilità tecnica”. Si insiste sull’immersione totale (e forse si trascura un po’ la critica del gesamtkunstwerk fatta da alcune avanguardie e da artisti come Brecht, che avrebbero preferito all’immersione nello spettacolo una presa di coscienza dei suoi procedimenti). Ci si addentra nell’interattività, nelle nuove frontiere del video-teatro e della performance digitale, delle realtà virtuali e del teatro dilatato (enhanced theatre), sottolineando la differenza che introduce la relazione tra virtualità, modifica digitale dei dati e irriducibile presenza corporea. Si discute di tecnologia, di “anima”, di nuove frontiere dell’attivismo politico.
L’autrice cambia velocemente gli scenari, con molta fiducia nelle nuove tecnologie, nella loro capacità anche politica di creare partecipazione, network (social, naturalmente), consapevolezza, lanciando, dopo un’immersione nelle potenzialità di un atteggiamento hacker, critico e operativo, la domanda di quanto teatro si perda nella sua riproduzione, anche in quella live, e quanto in questo modo invece il teatro cambi prospettiva, rinnovandosi e portandosi all’altezza dei tempi che viviamo. Pur se con un taglio da compendio universitario (esce in una collana che ha quella destinazione) la tela tessuta è vivida e impressionante: apre al lettore molte prospettive per un proprio approfondimento. È una guida non solo a esperienze, ma soprattutto a questioni che mettono in campo la sopravvivenza stessa della vecchia arte del teatro in anni mutanti.
Questo libro, in fondo, lancia la domanda essenziale, quella sulle possibilità e sui confini: quanto, come, dove questi si debbano oltrepassare, violare, per difendere e incrementare il tesoro irrinunciabile di vita, sapienza, immaginario che custodiscono.
Immagini: 1 Ubu incatenato di Roberto Latini; 3 una scena di CIVIL warS di Robert Wilson; 4 una scena di Andersen Project di Robert Lepage; 5. Marcel.lì Roca Antunez; 6 un’installazione di Roberto Paci Dalò / Giardini pensili; 8 Farfalle del Teatro di piazza e d’occasione di Prato.