Il live shooting è una pratica recente ma non nuovissima nella performance: Jacopo Benassi i cui scatti accompagnano il libro di Paolo Sorrentino Gli aspetti irrilevanti, lo rigenera personalizzandolo con il suo particolare stile, in No title yet ideato e realizzato insieme con Kinkaleri, una delle principali compagnie di teatro-danza italiane nata a Firenze nel 1995.
L’ultimo numero della rivista Alphabeta dedica allo spettacolo un dossier fotografico proprio a 16 anni di distanza dallo storico spettacolo del 2002 di KINKALERI OTTO che li ha fatti conoscere internazionalmente e con il quale vincono il premio UBU per la ricerca teatrale.
Il gruppo è attualmente formato da: Matteo Bambi, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco.
Benassi si appropria degli sguardi e dei corpi degli spettatori che partecipano a una performance in forma di rave party dove nulla rimanda a uno spazio teatrale convenzionale, e gli scatti in B/N vengono proiettati live su due schermi. La fotografia diventa centrale in quest’operazione intermediale, il cui titolo potrebbe essere glance: lo sguardo dello spettatore (quello che a nessuno interessa) sull’opera che viene così, mascherata, e in parte, sottratta proprio all’occhio di chi guarda, o quanto meno, privata del suo ruolo centrale, focalizzante. Così il fotoreporter immortala non la scena ma il controcampo: puntando la macchina fotografica sulle persone che ballano, parlano, fanno video col cellulare, ridefinisce continuamente i confini della performance, offrendo un curioso effetto di straneamento.
Come spiega Marco Mazzoni, l’assenza di elementi determinanti la performance e la presenza invece di uno spazio vuoto, diventa il modo per inglobare lo spettatore dentro questa forma di teatro-display dove è la reazione inaspettata a diventare oggetto dello spettacolo, tra luci stroboscopiche e musica techno. Con il flash (tecnica che è un po’ il suo “marchio di fabbrica”) Benassi in parte disturba la scena e l’aggredisce, in parte accentua il senso di presenza fisica dello spettatore. Benassi nella sua “sadica” instant photo nega la scena e la trasforma in un set fotografico.
I due performer inizialmente in disparte, diventano un corpo unico nello spazio: hanno una partitura coreografica all’unisono ed entrano da un punto di vista secondario, senza luce; la loro partitura è minimale, basata sul beat musicale del dj. I corpi si spostano, hanno delle traiettorie prestabilite, innescano ancora di più un coinvolgimento fisico ed emotivo; sono identificati da un costume con uno scheletro disegnato sulla parte frontale, segno di “leggerezza”, di gioco, di beffa.
No title yet segna contemporaneamente un nuovo approdo intermediale della compagnia Kinkaleri e un prolungamento dell’estetica fotografica di Benassi che ha sempre ritenuto le sue operazioni artistiche come delle vere e proprie performance, in cui prima dello scatto, diventa fondamentale condividere spazi e molto altro, e in cui il flash denuncia il temporaneo diventare “dominio altrui” del soggetto fotografato. Consenziente.
Intervista a MARCO MAZZONI di Anna Monteverdi
AMM Puoi raccontare come si organizzano tutti i materiali di questa performance tra fotografi, musica e performace?
Marco Mazzoni: No title yet riflette sull’idea del cortocircuito che avviene quando qualcuno entra in una sala e si aspetta di vedere un lavoro teatrale ma questo non si presenta; noi abbiamo messo in moto una sorta di display che ingloba il pubblico ma senza sottrarsi alla messa in scena che c’è, che avviene tra le pieghe di quel display, e si trova in un momento in cui il pubblico è coinvolto da una musica che lo fa entrare dentro la scena coinvolgendolo. Poi c’è l’inserimento e la responsabilità del pubblico che molte volte non vedendo niente, comincia a reagire; una delle reazioni è che loro stessi si muovono e stanno dentro lo spazio e a questo punto Jacopo con le foto, documenta quello che avviene. Si innesca nello spettatore uno sguardo circolare: loro capiscono di essere protagonisti, la traccia reale, e si innesca la consapevolezza reale di essere parte di qualcosa. Ma mentre si pensa che sia tutto qua, entrano in campo due performer che hanno una partitura coreografica all’unisono e entrano da un punto di vista secondario, senza luce, alla pari con tutto il resto. La partitura è minimal basata sul beat della musica, e si crea una situazione da rave party con luci strobo, e il flash del fotografo che continua a testimoniare lo sguardo delle persone, il loro autocompiacimento
AMMCome si sviluppa la performance?
Marco Mazzoni Questi due corpi che inizialmente sono in secondo piano ma sempre in scena, si spostano e sono evidenti, presenti e si capisce che la performance non è solo un display, non è solo l’azione, l’effetto sul pubblico ma include dei corpi che stanno sviluppando una traiettoria che insinua questo coinvolgimento e lo amplifica. I due performer agiscono all’unisono, dimostrando che c’è una coreografia, hanno una linea di azione precisa in crescend,o e da un punto esterno iniziale vanno a stare dentro lo spazio, occupandolo e poi a prendersi il loro ruolo nello spettacolo… stanno dentro la partitura. Come il pubblico ma a differenza di loro, i performer non possono uscire!
AMM C’è una regia che determina il movimento scenico?
Marco Mazzoni Tutto è stato messo sullo stesso piano: chi fa, chi osserva, chi interagisce e lui, Jacopo, fa esaltare la soggettività delle persone, alcuni stanno in posa e lo spettacolo si apre a una condizione sconosciuta.
Amm Dove vengono proiettate le immagini?
Marco Mazzoni La proiezione avviene su due lati in genere: idealmente c’è una proiezione molto larga su due lati e il banco del dj con una play list prestabilita e poi lo spazio vuoto dove andrà il pubblico: alla Spezia eravamo in un tunnel antiaereo della Seconda Guerra mondiale, a Prato in uno spazio completamente bianco, una specie di galleria d’arte, a Milano per la Triennale in un palco tutto racchiuso, perfetto, forse lo spazio migliore. Ci si fa un po’ beffa della frontalità unica, si disintegra continuamente il punto di vista tradizionale, il pubblico guarda facendo qualcosa.
AMM Qual è la motivazione per i costumi dei performer?
Marco Mazzoni Il costume che ha un disegno a scheletro nella parte frontale vuole riprendere la leggerezza, il gioco…il ritmo del corpo, un po’ come la danza degli scheletri del cartone della Walt Disney.
AMMCome è nata l’idea della collaborazione con Benassi per No title yet?
Marco Mazzoni La relazione con Jacopo è nata da un po’ di tempo per presentare un lavoro al Btomic (il locale gestito fino a poco tempo fa da Benassi alla Spezia, ndr); portammo un nostro lavoro e Jacopo iniziava a fotografare il pubblico e non la performance, sperimentava la foto in diretta. Noi già facevamo cose sul movimento all’unisono che ci interessava portare avanti; abbiamo integrato il percorso e cercato una nuova forma che andasse in una direzione di progetto comune. No title yet non ha una regia unica ma ci sono due percorsi che si integrano e si sviluppano insieme.
AMM Come si inserisce la fotografia nella performance live con Kinkaleri?
So solo che nel mio caso è stata un esigenza fisica , arrivavo da un esperienza nel mio locale il Btomic di La Spezia dove abbiamo fatto suonare molti musicisti che lavorano con la performance da Jochen Arbeit a Julia Kent e molti altri ; alla fine di questo percorso ho avuto l’esigenza fisica di Trovare un modo per entrare in scena con la fotografia. Ho contattato i Kinkaleri che avevano già più volte collaborato con il btomic . Ho chiesto a loro se potevamo mettere su uno spettacolo dove la fotografia fosse in scena non solo dal punto scenografico e della drammaturgia ma che catturasse nel pubblico l’azione dei performer e ne diventasse allo stesso tempo la documentazione. Non c’è una scelta studiata a tavolino su che mezzo tecnologico potessimo usare: si vede anche il cavo hdmi volutamente!
Amm Come definiresti la tua fotografia in questo contesto plurimo? Un linguaggio tra i tanti dentro un evidente ambito performativo intermediale o un’espressione che fagocita le altre arti?
Benassi: La differenza che mi sento di dire è che io mi pongo sempre come fotografo che sta performando in maniera molto spontanea e naturale senza movimenti studiati, la fotografia non è un’espressione che fagocita le altri arti anche perché comunque, queste performance le vedo come processi che raccolgono anche suoni.
Anna Monteverdi. Lo sguardo del pubblico è protagonista. Come procedi a scegliere le situazioni e che relazione hanno con la performance?
Benassi Il pubblico diventa parte dello spettacolo, nella reazione del pubblico sta l’azione dei performer, è come se in quel momento fossero gli artisti in scena. Le azioni sono completamente improvvisate, aggredisco con il mio flash quando meno se lo aspettano. Creando dei momenti di buio o di luce strobo si riporta l’attenzione sui performer in scena.
AMMCome ti inserisci nel processo creativo e come organizzi il tuo materiale artistico?
BENASSI Lo spettatore è l’unico ad essere fotografato in scena non ci sono mai i performer proiettati, come ripeto è nella reazione del pubblico che si vedono. Tutto il materiale oltre ad essere usato live diventa anche la documentazione di No title yet
NO TITLE YET
ideazione e realizzazione Jacopo Benassi, Kinkaleri/Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco
produzione Kinkaleri
con Jacopo Benassi, Jacopo Jenna, Marco Mazzoni.
Mix: Avenir & Restivo