High Files is an Italian multimedia collective exploring digital illusionism through architectural videomapping, installations, and transmedia performances. Their innovative work, blending light, space, sound, and movement, has been showcased on five continents and awarded at festivals like 1minutePM Tokyo and Bright Festival. They have created visual designs for notable music acts, including Subsonica and Jean Michel Jarre.
Together, they produced “Into the Mind of AI,” which premiered in Salt Lake City, USA.
https://www.instagram.com/highfilesvisuals
Anna Monteverdi intervista TOMMASO RINALDI/HIGHFILES collective
Higfiles è diventato un collettivo. Presenta tutto il gruppo con sede a Torino!
Sì siamo al momento un collettivo sempre in cerca di una continua definizione. Al momento in High Files siamo in 4: Riccardo Franco-Loiri (Akasha) con cui a un certo punto delle nostre carriere artistiche individuali abbiamo deciso di iniziare questo percorso assieme e quindi co-founder e co-director dell’esperienza collettiva HF ormai dal 2019, dal 2020 invece è arrivato Niccolò Borgia che è ancora al nostro fianco da allora e con cui abbiamo sviluppato un mare di progetti, mentre dall’anno scorso si è aggiunta a noi Anita Renieri.

Arriviamo tra l’altro tutti da percorsi di studi e di vita abbastanza differenti e le nostre conoscenze e interessi sono comuni ma anche molto eterogenee ed è bello vedere come questo gruppo si stia allargando e alimentando di questi stimoli e interessi diversificati. E proprio per questo anche le collaborazioni “fisse” ma esterne ad High Files iniziano ad allargarsi, in primis con l’associazione Sintetica con cui condividiamo lo studio ( consiglio di andare a dargli un occhio perché sono artisti incredibili! musica, interazione, multimedia, arte cinetica, show design….fanno di tutto!). Poi ci sono altre collaborazioni con artisti del settore strettamente visual che ormai stanno diventando sempre più frequenti, come quella con gli Ooops studio di Reggio Emilia con cui ormai abbiamo sviluppato un pò di progetti e con cui abbiamo sicuramente intenzione di svilupparne altri.
E quelle collaborazioni in settori misti, come con gli show/stage/lighting designer Blearred, con cui ormai abbiamo collaborato a svariati show: Subsonica, Alessandra Amoroso, Lazza e Capo Plaza. Oppure come quella con Neuma, show/lighting/visual designer nostri concittadini.
Il videomapping è una delle tue cifre stilistiche declinate in installazioni urbane di enorme formato ma anche scenografie per concerti e addirittura musei e gallerie immersive. Ci racconti come si declina lo storytelling in queste diverse modalità?
Forse è l’ambito ed il contesto che più decidono come affrontare la produzione creativa, solitamente nei videomapping, gallerie e immersive ossia luoghi che mettono lo spettatore a confronto con uno spazio mutato dall’intervento audiovisivo e narrativo e si immergono in una esperienza lo storytelling è in un certo senso liber ma necessario. A questo punto sono i soggetti stessi e le nostre intenzioni creative che ci portano a strutturare la formula più adatta, ad esempio nella nostra mostra immersiva a LONDRA “Into the mind of AI”, che è suddivisa in capitoli e in cui lo storytelling viene sottolineato e amplificato da una voce narrante per accompagnare il pubblico in un’esperienza che magari a tratti si presenta come astratta, ma comunque sempre chiara e interpretabile..

Mentre per gli show e concerti lo storytelling deve seguire la narrazione dettata dall’artista con cui stiamo collaborando, e il tentativo è sempre quello di identificare un estetica con cui rappresentare le tematiche, i soggetti, le parole, tutto ciò che sentiamo necessario amplificare attraverso la componente visuale per restituire un contesto coerente ed immergere il pubblico in quello che sta ascoltando.
I Concerti: Lazza e i Subsonica e molti altri…come organizzi i visual? Che software usi?
Anche qui come si diceva poco fa non c’è una regola, di software usiamo i più disparati, dai software 3d (c4d ed unreal engine in primis), ai sistemi realtime ( touchdesigner, tool3, resolume, madmapper etc), ai software di compositing come After Effects (per noi è un must e lo usiamo in quasi tutti i progetti, soprattutto dove un compositing video è necessario) , fino ai sistemi di generazione AI ( su tutti amiamo particolarmente Stable Diffusion)

Questo però ovviamente viene determinato dal suddetto storytelling e in realtà il software è un qualcosa di marginale in un certo senso nel processo creativo. L’utilizzo di un software piuttosto che un altro nasce dalle necessità tematiche ed estetiche che ci siamo dati nella fase creativa e per noi non deve essere determinante o determinato. Sicuramente posso dire che è la capacità di fondere queste tecniche e software che apre molte strade all’interpretazione e quasi mai un solo software o tecnica è sufficiente, ma anzi, è dall’intersezione di questi che secondo me nascono le cose più interessanti.
Tu conosci Joanie Lemercier, che sta lavorando molto su artivismo. E’ un tema anche per voi?
Non si può non indirizzare un pensiero alla società che viviamo, a ciò che ci circonda. Ammetto che nell’ultimo anno siamo stati presi da tante progetti e un poco si è assottigliato questo aspetto nelle nostre pratiche artistiche quotidiane,allo stesso tempo credo che gran parte del nostro intervento sullo show dei Subsonica sia stato uno dei momenti in cui più liberamente abbiamo potuto parlare di temi che non si può non affrontare davanti a un pubblico così vasto. La scritta gigante stop bombing Gaza, stop bombing Ukraine, o gli stessi contenuti pensati e realizzati per le loro “nessuna colpa” o per “missili e droni” penso siano stati alcuni dei momenti di artivismo da parte nostra più sentiti, soprattutto per la loro portata e per la condivisione di veduta con i Subsonica.
Se vorrai poi un giorno vi racconterò un po’ di backstage di come sono nati questi contenuti!

La liveness dei concerti ma anche dello spettacolo aggiunge un elemento in più all’uso di queste tecnologie? Quanto vi ritenete “responsabili” del successo di un concerto o di un live?
Responsabili del successo di un evento è relativo e forse un pó eccessivo , il successo di un evento personalmente ritengo passi dalla comunicazione tra le parti, solo quando stage design, audio, lighting design, e visual design riescono a interagire per creare una macchina scenica unitaria e complessa si può ritenere che un evento possa avere avuto successo. In tutto ciò la liveness diventa una componente che, ahimè e anche per fortuna, non si può applicare a ogni tipo di evento, il rischio della fallibilità e dell’errore nei grandi eventi va ridotta al massimo e di conseguenza l’atto live si assottiglia allo strettamente necessario. Rimane invece componente fondamentale dove il margine di intervento umano aggiunge carattere e si pone come fondamentale, penso ad esempio l’ambito della musica elettronica, dei live a/v, di tutto ciò che porti con sé una interminabilità data e cercata, contraria al tentativo di fissare uno show che sia registicamente il più ripetibile possibile come accade nei grandi eventi, in cui la liveness rimane una componente principalmente incentrata sulla musica perché fondamentale, e su tutte quelle componenti di light e visual design che aggiunga carattere allo show controllare “a mano”.
In una dinamica del genere devo dire che gli show di Anyma sono un paradigma interessante, teoricamente impostati come dj set, ma in realtà musicalmente show pre-prodotti in cui il lato musicale ha pochissimo margine di live. Interessante il fenomeno in cui l’atto live (che è, per me, il fondamento concordato tra pubblico e artista DJ) sparisca in favore dello show. Forse a questo punto potrebbe addirittura essere ribaltato il paradigma allora, e se ad esempio Tobias Grammler crea i contenuti visuali, il pubblico sta allo show di Tobias accompagnato dal sound design di Anyma piuttosto che il contrario. Ovviamente è una provocazione, ma è interessante vedere come ci sia da parte di pubblico e artisti la ricerca di un opera che sia sempre più totalizzante, e di come ci siano nuovi compromessi e modi e accordi per provare a realizzarla.

Nell’ultima Turandot i DWok hanno usato anche immagini video AI e lo hanno proiettato alla Scala di Milano. Qualcosa sta cambiando nel mondo dello show design e dello spettacolo dal vivo ma anche nell’ambito della lirica. Voi come vi posizionate su intelligenza artificiale ?
Credo che questo compromesso di cui parlavo non sia solo tra artisti e pubblico, ma che sia anche e soprattutto tra le parti artistiche e tecnologie. Ora più che mai si deve essere recettivi e predisposti alle velocità e al cambiamento che questi nuovi sistemi stanno determinando, proprio per questo da parte del team c’è una totale apertura a riguardo, anzi devo ammettere che a partire dai primi mesi del 2021 l’ Ai è un qualcosa di profondamente integrato nelle nostre creazioni. Ciò che sentiamo mancare a livello generale però è un’etica e una sorta di regolamentazione di utilizzo che tuteli gli artisti ma anche la società in primis,ad esempio è chiaro a tutti quanto i deepfake rischino di fare danni importanti se non viene compresa la loro origine artificiale. Al contrario per quanto riguarda la macchina creativa è uno strumento unico e potente, e al contrario di quanto si possa immaginare in un certo senso controllabile. Ma magari su questo argomento potremmo parlarne approfonditamente anche con Riccardo che è di noi il più legato e aggiornato a questi strumenti, ed addirittura uno dei pochissimi artisti al mondo nell’artist program di Sora, che già ancora prima di uscire stava facendo scalpore per il salto in avanti che avrebbe apportato alle Ai video generative.

Sono circa 5 anni che lavoriamo con l’intelligenza artificiale nei nostri progetti. Se penso cos’erano queste tecnologie mezzo decennio fa sorrido: era impensabile credere che un LLM (modelli di interpretazione di linguaggio come chatgpt) ti potesse rispondere correttamente a un quesito umanistico, o riuscire a generare un’immagine vagamente realistica da un prompt. Abbiamo visto persone con 7, 8 o 10 dita, ridendo, mentre ora dobbiamo impegnarci a capire se quella foto di Elon Musk che bacia la Meloni sia vera o artificiale. Personalmente ho indagato molto nel campo dell’AI generativa, cercandone sempre i territori più liminali, i confini che potevano portare a una generazione realmente creativa e (r)innovativa e non ad un’ altra immagine di tenerissimi gattini. La potenza dell’ibridazione che puoi condurre con alcuni modelli di AI è impressionante e stimolante, e la ricerca all’interno dei suoi meandri ha spesso portato essa stessa all’elucubrazione di nuovi concept.
Siamo molto entusiasti delle novità che porta questo accelerazionismo artificiale, ma anche critici e consci dei suoi rischi: l’impronta ecologica, il rischio di omologazione dei risultati, l’aumento incontrollato dei bias (Il bias dell’intelligenza artificiale è la tendenza degli algoritmi a produrre risultati distorti a causa di dati di addestramento sbilanciati o scelte progettuali. Può riflettere pregiudizi umani, amplificandoli nei processi decisionali automatizzati).
Eppure, l’AI rimane una svolta epocale nel campo della creatività. Per la prima volta, un potere quasi ascrivibile all’alchimia giunge nelle mani di noi artistx e creativx, un calderone in cui buttare prompt, parametri e modelli e venire incantati dai risultati. Per esempio Tommaso citava il modello di sintesi video “Sora”, di openaAi. Ho avuto la fortuna, insieme al nostro amico e collega Gabriele Ottimo di studio Neuma, di entrare nel gruppo di alpha artists e tester del programma. Nello stesso periodo, casualmente, l’artista Liberato ci ha commissionato un video per il brano di lancio, Turnà, del suo nuovo album di ritorno sulle scene. È stato naturale per noi utilizzare questa nuova tecnologia, anche se era qualcosa ancora in piena fase sperimentale, ogni giorno c’era una modifica e una nuova feature si palesava. È stata una bella sfida capire e sfondare i limiti del programma, mandarlo in errore, giocare con questi errori per produrre nuovo materiale. Alla fine il video è venuto strutturalmente fedele a come ci immaginavamo in fase di storyboarding, ma esteticamente siamo rimasti impressionati dai risultati incredibili che siamo riusciti a ottenere mischiando riprese reali di Napoli con il lavoro dell’AI. Un volo sopra i palazzi dei quartieri spagnoli può finire sott’acqua nel mare azzurro, trovare la sirena Partenope, risalire volando sopra lo stadio Maradona in compagnia della maschera di Pulcinella, il tutto in piano sequenza, senza avere uno stacco di montaggio.

Ci racconti qualcosa dei tuoi luoghi preferiti dove presentare al meglio i tuoi lavori? i club, i musei i festival…
Partirei dalle mancanze, negli ultimi anni il mapping è sceso tantissimo, non ci sono quasi più richieste a riguardo, e per i costi esagerati, la possibilità di realizzarne indipendentemente è quasi pari a zero. Questo ambito creativo devo dire che mi manca particolarmente. Allo stesso tempo musei e gallerie rimangono un obiettivo e chiodo fisso, mentre club, festival e grandi eventi danno grandi soddisfazioni e libertà creativa e ti mettono a confronto con un ampio pubblico. Insomma, datemi uno schermo, dei pixel, qualsiasi cosa che possa emettere luce tramite un’immagine, ed io sarò felice.

Miguel Chevalier è considerato il più importante artista visivo legato all’immersività, voi avete qualche riferimento di artisti per i vostri lavori? E come definiresti il concetto di immersività oggi?
Tantissimi, ormai la rete è bombardata ogni giorno di contenuti nuovi, e che siano realizzati da grandi studi o artisti, che siano realizzati da giovani artisti emergenti, che siano creati per i social o che siano la restituzione di un qualcosa sui social, ormai l’ispirazione è dappertutto. Credo che anche questo sia già di per sé qualcosa di immersivo, e che in un certo senso non ce ne sia una percezione forse al di fuori di chi sia del settore, ma è evidente che questa società stia venendo immersa nella tecnologia “creativa” sempre di più.
E appunto forse il successo delle opere multimediali immersive a discapito del videomapping è dovuto proprio a questo, alla necessità del pubblico di far parte di questo processo digitale, di farne esperienza e di viverlo in prima persona, più che esserne spettatore frontale.
Credo che a lungo si sia interpretata e definita l’arte multimediale come invece quella che era arte prettamente arte dualistica (Audio/Visiva), e spesso sia il pubblico che lo spazio erano il contorno dell’happening. Io artista questo ti offro, tu pubblico questo ti guardi. Che non ha nulla di sbagliato come concetto eh, funziona lo facciamo tutti e piace a tutti, pubblico e artisti, quindi sia ben chiaro non è una critica a questo tipo di formato. Credo però che adesso da entrambe le parti, artistica e osservativa, ci sia anche la necessità di allargare questo orizzonte a qualcosa di più integrativo, in cui le componenti dell’opera stessa diventano il pubblico, lo spazio, gli oggetti tangibili che vengono trasformati e gli interventi multimediali, in tutt’uno. Una multimedialità che fa dunque del media una componente organica ed entropica tanto quanto lo fa la componente del reale. Al momento credo che sia un pò questa la tendenza verso il futuro. mmmhh spero di non avere svarionato troppo! ahah
Comunque di artisti ne potrei citare tantissimi:
Personalmente amo il lavoro appunto di Joanie Lemercier, dei Nonotak, i lavoro di SetupDesings. Ma settimana scorsa sono rimasto particolarmente sconvolto da All-Together-Now, un lavoro dei Childen of The Lights esposto al Nxt Museum di Amsterdam. ( https://nxtmuseum.com/artist/all-together-now-children-of-the-light)
