E’ prima di tutto una straordinaria prova d’attore questo 887, il nuovissimo solo show con cui Robert Lepage ritorna a recitare sul palcoscenico dopo aver firmato le due regie di Jeux de cartes (Spade e Cuori) ancora in tour, e aver diretto il Ring di Wagner per il Metropolitan di New York la cui versione per la Deutsche Grammophon diretta da Fabio Luisi e James Levine ha vinto nel 2014 il Grammy Award come miglior Opera registrata.
L’Avant premiere a Nantes presso lo spazio Lieu Unique nel quadro della rassegna Oupalaï (hop-là in quebecchese) dedicata al Québec e che ha coinvolto una ventina di teatri nella Regione della Loira, anticipa il debutto definitivo che si terrà a Toronto a luglio, per le Pan Am Games. a settembre pare che lo spettacolo sia opzionato per RomaEuropa. A questo proposito Lepage ci rivela che vorrebbe effettivamente recitare il prologo in italiano, lasciando i sottotitoli per tutto il resto dello spettacolo. Il prologo, come da consuetudine nei “solo show” di Lepage, è una parte sostanziale, perché l’autore annuncia le motivazioni personali e talvolta intime o autobiografiche di una scelta tematica e prevede sempre un dialogo diretto col pubblico. Lo spettacolo 887, dall’indirizzo della via in cui la famiglia Lepage viveva a Québec (Rue Murray 887), è un tuffo nella memoria personale, intima e insieme collettiva. La domanda da cui scaturisce lo spettacolo è: À quoi nous sert-il de nous rappeler ? De quelle façon le théâtre fondé sur l’exercice de la mémoire, est-il toujours pertinent aujourd’hui ?
La memoria è innanzitutto, un tema teatrale e specificatamente attoriale: come spiega l’artista, lo spunto per lo spettacolo gli venne da un episodio –vero o presunto che sia- che riguardava la sua difficoltà a memorizzare un componimento poetico in occasione del Festival dei 40 anni della Poesia contemporanea in Québec. Il componimento Speak white (Parlez blanc) scritto da Michèle Lalonde nel 1968 parlava anch’esso di memoria, una memoria politica, la memoria delle vicende del Québec separatista. Il titolo del poema altro non è che l’ingiuria sprezzante rivolta ai franco canadesi da parte degli inglesi. In qualche modo lo spettacolo a questo punto è già definito: un contesto storico e geografico di riferimento che unisce –se non tutti, almeno quelli che conoscono la breve ma intensa stagione caratterizzata dal Fronte di Liberazione del Québec (FLQ) degli anni Settanta- e un racconto autobiografico, quello del giovane Lepage, terzo di quattro fratelli, figlio di un taxista e di una casalinga che coltiva in giovane età la sua vocazione attoriale.
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Alla sensazione di smarrimento di fronte all’eccesso di dati che ci investono quotidianamente con i dispositivi di memoria elettronica di cui ci circondiamo, Lepage contrappone la memoria umana, con i suoi errori, le sue falle, che diventa quell’ombra indelebile che ci accompagna e ci plasma nel nostro cammino; e su questo sguardo malinconico di oggi sulle cose di ieri, sulle vicende drammatiche personali e collettive, rivissute in scena come un flashback quasi in forma di “terapia psicoanalitica”, che lo spettacolo innesta il suo “patto” con lo spettatore. Lepage ci ha abituato al tema della memoria, che è un vero topic nei suoi spettacoli: ripercorrere a ritroso le vicende personali e collettive che hanno segnato vite e destini attraverso le lenti distorte e imperfette della memoria dà anche una chiave per interpretare l’oggi; da Le sept branches de la riviere Ota (su Hiroshima e il ricordo della bomba atomica cinquant’anni dopo) a La face cachée de la lune (sulla morte della madre) la memoria è qualcosa di vivo. La memoria cui guarda Lepage non è ovviamente quella d’archivio, quella delle fotografie e dei testi scritti: “La nostra società ha perso la sua memoria orale. Noi ci affidiamo sempre di più a documenti scritti o visivi per immortalare il passato, per archiviare le cose che ricordiamo, la nostra storia; e come risultato, la nostra memoria non distorce più i fatti filtrandoli, la qual cosa rende più difficile per la storia trasformarsi in mitologia…Le persone si dispiacciono della non affidabilità della memoria, ma dovrebbero esserne felici, e usarla come strumento creativo”. (Connecting flights. R. Lepage in conversation with Rémy Charest, TCG 1995)
Con queste premesse non è difficile arrivare alla conclusione che in 887 il racconto della sua famiglia e della Révolution tranquille del Québec, passando attraverso il filtro soggettivo del narratore, diventa una ripetizione “creativa” della vicenda reale, con continue ramificazioni e diversioni, cioè variazioni, tutte a modo loro, legittime. Ripetere a memoria a teatro, quindi, sembra suggerirci Lepage, rendendo contemporanea la lezione dell’epica, vuol dire rivivere e far rivivere una vicenda, far venire alla luce una situazione e da qui partire per ricrearla, prendendo come guida le parole, i volti che ci hanno maggiormente coinvolto e impressionato. Nel mondo dell’oralità il cantore usava, per aiutarsi nella memoria, il canto, il ritmo, la metrica, oppure scene disegnate, qua Lepage usa non più la tela ma uno schermo, e un originale contenitore di immagini e una serie di webcam e varie altre strategie di “Visioni mediate”.
887 ci da’ ancora una volta la dimensione di un Lepage perfettamente in grado di trarre dagli strumenti della quotidianità tecnologica, storie teatrali di straordinario respiro: gps, webcam, video con animazioni. Così mentre entra in scena chiedendo al pubblico, come fosse una normale prassi di servizio, di spengere il cellulare mostrando l’oggetto in questione, contestualmente mostra in proiezione numeri di telefono della sua rubrica, foto e indirizzi archiviati e memorizzati e che saltano fuori con un suo semplice e riconoscibile gesto sul touch screen del palmare. Abbiamo demandato al dispositivo elettronico le operazioni di memoria e forse il ricordo ci può indurre a smettere di avere fiducia nella memoria umana e preferire quella digitale, in fondo più precisa e accurata ma che ci nega la possibilità di evolvere, crescere.
Nella finzione scenica l’unico numero rimasto indelebile è appunto, un numero, quel 887 proiettato sullo schermo. Che si trasforma nelle foto della famiglia associate a quel numero, soprattutto del padre intorno a cui ruota la storia in forma di accorato omaggio: prima bagnino, poi militare in Marina poi tassista; quindi della madre che accudisce la famiglia composta da due figli maschi e due femmine, solita fumare spesso nella terrazza del condominio. L’edificio ricostruito in forma di plastico in scena, poco più alto dello stesso Lepage è una struttura mobile, scomponibile e in alcuni casi anche praticabile; come tipico dei suoi allestimenti scenografici “trasformisti”, vere scatole di invenzioni e di attrazioni (dalla macchina composta da 24 elementi di fibra di vetro coperta di alluminio capace di sollevarsi e ruotare a 360° del Ring per le Opera House; il dispositivo a pianta centrale con trucchi dal sottopalco per spazi circensi e aree non convenzionali in Jeux de cartes) bastano pochi movimenti, una rotazione e un gran numero di tecnici e servi di scena dietro le quinte per avere davanti agli occhi diversi scenari in poco tempo.
Si passa da un cucina con arredo, con tanto di tavolo e frigo, alla sala con tv, all’ingresso con porta abiti e senza soluzione di continuità, anche all’interno di un taxi, un locale notturno, un fast food. La memoria, come la scenografia che appare e scompare sotto gli occhi dello spettacolo, è una scatola che va aperta, squadernata, dove tornano alla luce dettagli insignificanti e dove episodi centrali si perdono nell’oblio.
Lepage sembra visualizzare in questo modo proprio l’antica mnemotecnica detta anche palazzo della memoria che utilizza come strategia le immagini di un luogo familiare associato a un elemento da ricordare. Questa tecnica richiede di richiamare alla mente luoghi che conosciamo molto bene: la nostra abitazione, una via che percorriamo tutti i giorni o un luogo di cui ricordiamo anche i minimi particolari.
La memoria edificata in forma di stanze e scatole lo porta a rivangare episodi della sua giovanile vocazione teatrale, associati a momenti di bellezza (quando per la prima volta sentì recitare Gli uccelli di Aristofane) a momenti dolorosi e sanguinosi (gli attentati a firma del FLQ e il clima violento del Québec degli anni Settanta). Il Front de Libération du Québec, l’organizzazione separatista che aveva come manifesto il volume di Pierre Vallières Negri bianchi d’America (scritto in carcere a New York nel 1966 col significativo sottotitolo Autobiografia precoce di un “terrorista” del Québec), nasce nel 1963 e sarà responsabile del sequestro e uccisione del ministro Pierre Laporte (1970); la successiva Crisi di Ottobre segnò una durissima repressione contro i simpatizzanti dei gruppi separatisti culminata nell’imposizione da parte del governo federale guidato da Trudeau, della Loi de mésures de guerre. Alcuni momenti strappano l’applauso a scena aperta: il discorso in Canada del presidente De Gaulle nel luglio del 1967 passato alla storia per l’enfasi che diede alla frase W le Québec libre con il quale sembrò sposare la causa nazionalista raccontato con una piccola marionetta nascosta nel taschino della giacca e ripresa con una webcam e la richiesta di aiuto di Lepage “smemorato” in crisi esistenziale all’amico attore, temporaneamente in un programma di recupero per alcolisti. Tutto avviene tramite una segreteria telefonica che scatta sempre troppo presto. Anche in questo spettacolo come già in Les aiguilles et l’opium il personaggio si racconta al telefono (una citazione esplicita a La voix humaine di Cocteau) o con un interlocutore invisibile al pubblico a cui apre birre e prepara tisane.
Il plastico del condominio man mano che Lepage da vero story teller racconta i dettagli delle famiglie che la componevano, si anima nelle sue sei finestre con balconi, tre per parte, grazie a minuscoli video che annunciano le attività e le vite che si svolgono all’interno: una famiglia di immigrati, un pianista che suona sempre Chopin e vive con la madre dopo un incidente, la casalinga bigotta del piano di sopra e la portinaia di facili costumi proprio sotto casa Lepage, infine la signora Penny, inglese, che pur di star via da casa, trova lavora come cameriera in una sala da thé. I personaggi sono presenti in forma di piccole bambole che vengono mosse dallo stesso Lepage a raccontare le relazioni, e le loro storie. Dentro queste stanze si forma anche la curiosità di Lepage per il teatro, simboleggiata da un racconto casalingo con le ombre.
Ricco di dialoghi che sembrano rubati al cinema, prospettive teatrali come fossero inquadrature, primi piani, campi e controcampi Lepage ci propone ancora una volta sul palcoscenico la grammatica del linguaggio con cui più volentieri Lepage scambia funzioni.