Nel 1993-1994 Lepage ritorna al suo interesse per l’Estremo Oriente. Inizia a lavorare allo spettacolo Les sept branches de la rivière Ota (che avrà anche una versione inglese: The seven streams of the river Ota) concepito come opera collettiva e prima produzione della neo-nata Ex Machina, struttura multidisciplinare che fa capo a Lepage, costituita da artisti collaboratori, tecnici ed informatici specializzati nella creazione digitale delle immagini.
Il debutto dello spettacolo nella sua prima versione è al Festival di Edinburgo nell’agosto 1994.
L’evoluzione dello spettacolo (costituita da 4 fasi) è tale anche nella lunghezza: da una prima versione di tre ore per finire con una di 7 ambientata in diversi luoghi. L’azione si svolge in 5 città (Hiroshima, New York, Osaka, Terezin, Amsterdam) e tre continenti (Asia, America, Europa) e copre cinquant’anni ripartiti in varie date: 1945, 1965, 1970, 1985, 1992, in cui i destini di famiglie legate all’Hiroshima dell’epoca della bomba atomica, si intrecciano fino ad arrivare alle nuove generazioni che non hanno dimenticato.
Lo spettacolo inizia con la visione dell’esplosione dello scoppio della bomba atomica; una “hibakusha” (Nozomi), come vengono chiamate le persone scampate all’esplosione, viene fotografata da un ufficiale dell’esercito americano (Luke O’Connor) che sta lavorando ad un documentario su Hiroshima.
Hanno una relazione e un bimbo, ma il soldato ritorna in patria dove ha un altro figlio; questi bambini, chiamati entrambi Jeffrey, si incontreranno 20 anni più tardi a New York. Come Hiroshima si sviluppa sui sette rami del fiume Ota, così lo spettacolo racconta le storie di sette personaggi e delle loro vite in qualche modo collegate tra loro in una specie di ponte ideale che unisce Oriente e Occidente. La trama dello spettacolo si è modificata moltissimo nel corso degli anni, al punto che diventa quasi impossibile fare dei confronti tra le diverse versioni.
Così Lepage sintetizza il significato dello spettacolo:
“The seven streams of the river Ota is about people from different parts of the world who came to Hiroshima and found themselves confronted with their own devastation and their own enlightment.” (cit in J. Donohoe e J. Koustas (a cura di) Theater sans frontières. Essays on the dramatic universe of Robert Lepage, Michigan State, University press, 2000).
Nato come evento commemorativo dei 50 anni della bomba atomica Les sept branches de la rivière Ota non è uno spettacolo sulla distruzione ma sulla vita che continua:
I was in Japan. .. in Hiroshima as a tourist, like a lot of people do…
I was struck by two things in Hiroshima. As a Westener we always see Hiroshima as a symbol of destruction and death, which of course is quite normal. But when you actually visit Hiroshima you’re struck by the beauty, the life, the sensuality, the smells, the tastes and the feelings, and it’s exactly the contrary of what you expect. So that’s one thing: you have the physical sensation that whatever is the context, life is stronger. (Alison Mac Alpine, In conversation with Robert Lepage)
Lo spettacolo ruota idealmente intorno al motivo dei i due ponti sul fiume Ota che sono stati ricostruiti immediatamente dopo l’esplosione della bomba per far riprendere le comunicazioni, le relazioni, la vita ed è legato al tema della sessualità, della fecondazione, della rigenerazione, come dichiara lo stesso Lepage:
“Si dice che siano stati fatti due ponti, un ponte yin e un ponte yang, uno con forme falliche l’altro a forma di organi sessuali femminili, affinché una parte della città possa accoppiarsi con l’altra” (R.Charest, Connecting flights).
La scenografia stretta e lunga dello spettacolo ricorda la tradizionale casa giapponese; nel corso dello spettacolo questa parete si apre, separando le diverse parti di cui è composta per mostrare molti altri luoghi: l’interno di un loft americano, un campo di concentramento, un ristorante giapponese, un appartamento di Amsterdam, tutto questo sempre all’interno dei limiti del quadro rettangolare. Perelli Contos ha osservato come questa scena si trasformi come un origami, l’arte orientale di piegare la carta in maniera da ricavare più forme da un unico foglio, come se la stessa Hiroshima contenesse al suo interno tutti questi luoghi. La scenografia, come già in Polygraphe, ricorda uno schermo cinematografico e spesso è usato come tale sia per proiezioni sia in retroproiezione. Diventa una lastra “fotosensibile”, o piuttosto, un muto teatro d’ombre.
Come tutti gli spettacoli di Lepage, anche Les sept branches de la rivière Ota ha un “germ du depart”, un elemento inziale che trasporta idealmente da una storia all’altra e che permette di ricondurre all’unità tutti i diversi episodi della storia: è la cabina per fototessere (“photomaton”) e il suo processo di scrittura e di “sviluppo” attraverso la luce. La bomba atomica si presenta, infatti, nello spettacolo come un flash fotografico. La fotografia diventa metafora della memoria. Le ombre dei corpi impresse sui muri delle abitazioni, a causa dell’esplosione, diventano la memoria tangibile della distruzione e della tragedia.
Così Perelli-Contos accosta questo teatro alla scrittura fotografica:
Ces ombres, ces images négatives, latentes, se révèlent sur la scène grace aux procédés particuliers de l’écriture scénique qui se mue, dans ce spectacle, en véritable «photo-grafie».
Écriture de la lumière qui, par flashs (instantanés) et flashs-back (souvenirs), imprime la vie d’un demi-siècle pour la projeter sur la scène et ses écrans sous forme de biographieoriginale, fait de photos. D’ombres et de reflets. (I. Perelli-Contos, C. Hébert, L’écran de la pensée ou les écrans dans le théâtre de Robert Lepage, in B. Picon-Vallin, Les écrans sur la scène, Lausanne, L’âge d’homme, 1998).
Secondo Perelli-Contos l’effetto di “incrostazione” tra l’immagine videoproiettata e corpo dell’attore e tra la figura e sfondo monocromo luminescente (con effetto “chromakey”, tecnica di cui è indiscusso maestro Robert Wilson) rende quasi alla lettera il senso più profondo dello spettacolo: il legame indissolubile tra Oriente e Occidente, l’impossibilità di cancellare la memoria, che si è definitivamente “fissata” nelle vite e nei destini di tutti gli uomini che hanno avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la città di Hiroshima, con le sue immagini, con il suo ricordo. Ma anche “incrostazione” tra la vita e la morte, tra il femminile e il maschile, il solo modo, insomma, di rendere visibile, ricorda ancora Perelli-Contos “la matière première du spectacle: le yin-yang”.