Sempre più Festival propongono percorsi urbani – alternativi, periferici, storici – munendo le persone non più solo di audio-guide ma di App da scaricare sul proprio cellulare.
I riferimenti visivi, filosofici, urbanistici possibili per questo nuovo modo di fare “urban experience” sono molteplici e vanno dal fantascientifico progetto The Walking City di Ron Herron del 1964 (visionario progetto di una città vivente, di una città organismo modellabile e modulabile nonché adattabile agli ambienti circostanti) alla psicogeografia dei Situazionisti legata alla “teoria della deriva” di Guy Debord del 1956. Dagli elementi mobili della città al nomadismo urbano vissuto con un certo margine di creatività, spaesamento e aleatorietà.
Ispirata direttamente all’idea visionaria del gruppo Archigram è l’opera video Walking city del gruppo Universal everything di Matt Pyke vincitore del Premio di Ars electronica nel 2014 per la sezione Computer animation dove una figura astratta in 3D nel corso di una camminata percorre grafica, design, animazione e ovviamente architettura assorbendone le forme.
Grandi suggestioni per un progetto creativo possono venire dallo storico volume di urbanistica L’immagine della città di Kevin Lynch il cui centro focale è la conoscenza del territorio per poter individuare l’identità del luogo, della città e poterla riprogettare. Conoscere una città significa identificare come leggibili alcuni dei suoi tratti peculiari che nella loro relazione con l’osservatore e abitante si possono suddividere in 5 punti che costituiscono l’immagine ambientale: percorsi, margini, nodi, riferimenti, quartieri; a questa geometria immaginaria si unisce l’immagine della città legata all’esperienza, all’emotività e alla relazione individuale che ciascuno intreccia con i suoi spazi (identità, struttura, significato).
Proprio al libro di Lynch sembra ispirarsi il recentissimo progetto Contact-zone dell’artista digitale e curatrice d’arte Vanessa Vozzo e Laura Romano che parte da una ricerca condotta insieme con il Politecnico di Torino, sui concetti di “confine/frontiera come limite geografico, spazio politico, dispositivo di governo su corpi e territori. Il confine fisico terrestre e marino tra gli Stati si frammenta e riconfigura all’interno delle città producendo un dialogo tra nuovi arrivati e abitanti insediati. Siamo il frutto di spostamenti, migrazioni e movimenti ma i nuovi flussi migratori sembrano mettere fisicamente in crisi gli spazi urbani. Il progetto si concentra sulle contact-zones cittadine concependole come nuovi spazi di interazioni possibili. Il progetto si avvale di locative media e interactive media art per realizzare istallazioni, performance, percorsi e tracciamenti. I contenuti audiovisuali seguono un modello narrativo e/o di contro-narrazione con l’obiettivo di riconfigurare la contact-zone attraverso un processo di embodiment, che faccia ri-percepire lo spazio urbano”.
Il pubblico viene invitato a fare un giro intorno a zone che conosce bene ma che sembrano stranamente insolite: piazze frequentate, luoghi di passeggio. Attraverso una specifica APP viene invitato via cellulare a fermarsi, guardarsi intorno, sentire suoni e musiche, poesie, percorrere delle strade, guardare chi le attraversa, osservare anche dei contenuti aggiunti via GIF. Il primo step del progetto è stato un laboratorio guidato da Vanessa Vozzo fondatrice di Officine sintetiche durato 15 giorni, che ha coinvolto 8 studenti dell’Università, del Politecnico e del Conservatorio di Torino e ha portato alla realizzazione di un prototipo di applicazione telefonica in fase testing. Un percorso che mette insieme Urban Studies, Interactive Documentary e Arte Contemporanea attraverso una particolare e suggestiva passeggiata intorno a Palazzo Nuovo accompagnati da suoni, voci, foto, cinemagraphs.