All’ultimo piano del celebre Plaza Hotel di Roma in Via del Corso e di fronte ad un ristrettissimo numero di spettatori-ospiti, i Motus hanno inaugurato il loro personale, raffinato e originalissimo omaggio a Jean Genet. Un’edizione straordinaria e irripetibile per questo Splendid’s, un’occasione unica per la perfetta aderenza del luogo prescelto per l’azione scenica con quello descritto da Genet: “lampadari, lusso, tappeti”.
Gli 8 gangster armati di mitra, vestiti con abiti neri o gessati – griffati Costume Nationale – si trovano dentro l’hotel per una storia di rapimenti e sparatorie e, in una circostanza non chiarita, qualcuno di loro ha ucciso una ricca americana. Sono asserragliati dentro la camera da giorni, e l’hotel, come da miglior tradizione di film d’azione, si trasforma in una prigione senza via di fuga: le tende di velluto ben chiuse per non essere visti dai tiratori scelti, le bottiglie di birra vuote sparse per terra, le carte, i piatti, il letto disfatto e il generale disordine. Ascoltano la radio, Scott cerca i notiziari sulla vicenda Splendid’s. Il cadavere della donna è in bagno. Lo spettatore dentro la stanza, da voyeur, date le circostanze, diventa un “testimone oculare”.
I personaggi, dicono le loro ragioni e scandiscono le proprie paure da sempre nascoste muovendosi a tempo di musica. La banda diventa un corpo di ballo. Ballano sempre. E’ un tango, un valzer, una marcia funebre o una musica orientale e tengono il ritmo con i piedi, si affrontano danzando ma “senza mai toccarsi”- come avverte Genet nella didascalia dell’atto I. Una danza macabra di uomini con mitra trasforma il salotto in una pista da ballo. La trama non va molto più in là di un’attesa – di una sentenza, di un colpo di mitra, di una resa – durante la quale tutti si spogliano progressivamente del personaggio che hanno da sempre rivestito. L’unica certezza è che non hanno scampo. E’ con loro un poliziotto. Passato “dall’altra sponda”, è diventato dapprima loro complice per puro sadismo e istinto di crudeltà (“Li amavo i ragazzi; e comincio ad amarli con più passione ancora da quando li ho presi a mitragliate…“) poi, “rovesciandosi come un guanto” il loro carnefice, tradendoli, e consegnandoli alla polizia che circonda l’hotel. Pierrot, il fragile, si uccide. Jean, la reginetta del ballo, apre le danze di questo galà con morto. Loro, i coraggiosi vorrebbero, nel gran finale, arrendersi, lasciando trasparire il loro vero volto: “A me piace alzare le mani in alto”.
In questo ambiguo gioco delle parti, vince chi ha saputo usare la maschera giusta al momento giusto, quella che le circostanze richiedono. La maschera sociale è menzogna, travestimento effimero, che dura, appunto, il tempo di un giro di danza.