In una nota datata 1 giugno 1948, a pochi mesi dalla fondazione del Living Theatre, Judith Malina elenca, nel suo diario, i tre stadi necessari per la costruzione di un teatro politico: uno astratto, uno concreto, uno “attivo”:
1) Develop a theory of political philosophy (abstract)
2) Develop a historical understanding of what contributes to human happiness (concrete)
3) Be able to suggest procedures for integrating the ideal social situation with the real, individual, human factor (active)
A quel punto Malina ricorda da dove venne la prima ispirazione per la messa in pratica dell’Utopia del Teatro Vivente:
During my thoughts the mail brings “Resistance”, the anarchist newspaper, which I have been received. I am suprised to find it full of pertinent material.
E’ la prima volta nel diario che Malina nomina il movimento anarchico che da quel momento inizierà a frequentare e a condividerne gli ideali libertari grazie anche all’amicizia con Paul Goodman, che proprio in quell’anno avrebbe divulgato i principi di Communitas.
La storia del Living, inizia significativamente all’insegna di Resistance, parola chiave nel loro teatro. Resistance lo spettacolo ideato nel 2001 per spazi non convenzionali, è ispirato ai fatti della Resistenza a Rocchetta ligure, nel doloroso ricordo della Seconda guerra mondiale raccontato dai partigiani della val Borbera, là dove il Living ha oggi trovato la propria residenza stabile, presso Palazzo Spinola; ma lo spettacolo, come precisa puntualmente la stessa Malina, è emblema di ogni forma di resistenza umana al capitalismo, all’economia globale, alle guerre, tutte le guerre. Resistance ha, infatti, invaso le strade di Genova, durante le giornate del luglio 2001 in occasione delle manifestazioni Anti G8, ed è sbarcato in Libano, a Beirut.
Resistance – come già Paradise now!-diventa lo slogan di ogni comunità ribelle, parla di una storia recente e chiama in causa la nostra responsabilità alla creazione di un mondo non a misura umana bensì “frankensteiniano”, mostruoso:
“Trentacinque anni dopo la creazione del nostro Frankenstein, è arrivata una nuova generazione di attivisti e contestatori che alza la voce per individuare il mostro pericoloso dei nostri tempi. E’ l’incoronazione del Capitale come unico dio della società -il valore assoluto. Ed è contro questa Creatura, quest’artifico che è la legittimazione del sistema mondiale capitalistico, che i giovani si svegliano. Ed è a Québec, a Praga, a Waghington, a Seattle, a Genova cioè ovunque si riuniscono i potenti che dirigono la marcia verso la globalizzazione, che quelli con una prospettiva più ampia cercano di scuotere la coscienza del mondo”.
(Dall’introduzione di Judith Malina scritta per Frankenstein del Living Theatre, di A.M. Monteverdi, Pisa, BFS , 2002).
Dalla Resistenza al nazismo ad oggi, contro il nuovo nemico: teatro non è rievocazione di un fatto storico tramandato ma è evento, esperienza di vita, manifestazione irripetibile che trova la sua unica ragione di essere nell’efficace azione diretta sul pubblico. Può il teatro interrompere questo ciclo di morte? Una guerra è in corso adesso, non c’è più spazio per la memoria. Resistance, come già Antigone e Frankenstein, ripropone la figura del “resistente” dell’antico dramma, guardando brechtianamente al presente:
“La domanda è: “Cosa significa Resistenza?” ed arriviamo a Seattle dove i giovane protestano contro la globalizzazione. E questo nemico oggi è molto nuvoloso. Era bello dire: “Fascismo: questo è il nemico, ecco l’obiettivo”. Ma oggi il nemico sono le multinazionali e noi usiamo i loro prodotti, siamo coinvolti, siamo una parte del meccanismo, e anche quando protestiamo, protestiamo dentro la trappola del nemico, questo è molto vicino alle tematiche del Frankenstein. Questo lo dico per legare il lavoro del passato col lavoro di oggi: il lavoro del Living è una sola grande opera con parti in cui differenti momenti sembrano richiedere altre forme, ma è sempre un’opera unica.
Ogni volta che iniziamo un nuovo spettacolo parliamo per settimane, qualche volta per anni: “Cos’ è la prossima cosa che vogliamo dire? Cosa è importante esprimere?”
Ma certi principi fondamentali rimangono: siamo anarchici, pacifisti, femministi….è un unico atteggiamento e vogliamo guardare ai diversi momenti storici e ai diversi luoghi dove lavoriamo. Ci chiediamo: “Cosa è utile dire in questo momento? Cosa è cruciale adesso per noi e per gli spettatori?” E ogni volta decidiamo.
Qua siamo a Rocchetta, la maggior parte della popolazione è anziana e la cosa più importante per loro è stata l’esperienza della guerra. Erano tutti coinvolti e avevano queste storie dentro. E noi ci domandiamo: “Cosa vuol dire questo?” E allora decidiamo di fare uno spettacolo sulla Storia, ma sempre con questa idea: “Abbiamo imparato qualcosa da questa esperienza? Dove siamo adesso?” La Resistenza: “Essere un esercito di gente non bellicosa ma che vuole difendere la propria vita, uccidere o non uccidere, e uccidere chi? Solo fascisti tedeschi o anche fascisti italiani? Sono nostri fratelli o no? Cosa siamo l’un l’altro?” Tutti problemi morali attuali per loro e che sono ancora adesso nelle loro menti. E allora ci domandiamo: “Cos’era questo tempo così estatico e così orribile allo stesso tempo?”. C’è in fondo la speranza che questa orribile realtà non sia la nostra realtà perché a questa siamo costretti da un sistema che abbiamo inventato per sopravvivere e per il quale dobbiamo essere cattivi. Sembra che non abbiamo altra scelta, come i Partigiani: “Ci sono gli invasori, dobbiamo reagire”. Oggi in Israele, in Africa, gli orrori ci sono sempre perché crediamo che non ci siano altre alternative. Dobbiamo vedere queste alternative attraverso l’arte, la letteratura, il teatro, la musica…”.
(Intervista di A.M.Monteverdi a Judith Malina, in Frankenstein del Living theatre, cit)
Resistance (Living theatre a Beirut)
di Marco Santarelli; prod. Doppler. Sceneggiatura: Marco Santarelli, Vincenzo Della Ratta.
Adattamento da Resistance del Living Theatre, Roma, 2001, 8’25”.
Opera video selezionata al Concorso Italia Riccione ttv 2002.
keydoppler@hotmail.com
Il videomaker Marco Santarelli ha seguito il Living theatre in Libano senza un progetto preciso, era uno dei “reclutati” antifrankenstein; l’atmosfera l’ha coinvolto, le immagini di una città devastata da una guerra interminabile (chi si ricorda le fotografie di Basilico di una Beirut desolata e disabitata?) non l’hanno lasciato indifferente, e ha deciso, telecamera alla mano, di assumersi il compito di una memoria originale della performance Resistance, nel qui e ora di una guerra ancora impressa negli occhi della popolazione, raccontata tra resti di bombardamenti e vita quotidiana. Nel tempo contratto di otto minuti Marco Santarelli ha accostato insieme, come fossero due occhi, le immagini del luogo, teatro antico di scontri, e momenti della preparazione dello spettacolo con un’intervista a Malina che racconta come il punto di partenza dello spettacolo sia stato l’interrogativo: Who’s the enemy?, chi è oggi il nemico?
E’ ancora lei, settantasei anni, figlia di ebrei scampati all’antisemitismo nazista, in prima linea in terra araba, pronta ad imbracciare la causa degli oppressi, sassi alla mano: “No pasaràn!”.