E’ on line da oggi un bellissimo speciale dedicato a Giacomo Verde, l’artista-artivista tecnoteatrale che ci ha lasciato il 2 maggio 2020 sul blog on line 93% Materiali per una politica non verbale di Roberto Castello e Graziano Graziani.
Introduce lo speciale un testo che è una premessa doverosa contro le istituzioni culturali che non hanno riconosciuto il valore di un artista come Giacomo, a firma di Roberto Castello, suo amico e produttore di alcuni lavori teatrali come l’ultimo toccante e catartico spettacolo Piccolo diario dei malanni.
Condivido ogni virgola di quei passaggi duri di Castello dove si legge tra le righe, che dietro il rifiuto di inserire nelle programmazioni certi spettacoli politici, non convenzionali, non ossequiosi, non normalizzati come erano quelli di Giacomo, c’è sempre una precisa strategia di emarginazione e isolamento di ogni cultura oppositiva o anche solo non allineata e dissidente. Giacomo apparteneva a quella categoria di artisti che ha optato per una pratica “sovversiva” dell’arte: un “whistle blower “ teatrale che avrebbe fatto la differenza se fosse stato ai vertici di grandi istituzioni culturali, Teatri, Festival o gallerie. Avrebbe potuto deviare il corso “immorale” di programmazioni normalizzanti, anemiche, noiose, ripetitive senza corporeità politica. Questo ultimo pensiero affiora tra le pagine del suo ultimo, inedito diario familiare: il rammarico di un non riconoscimento della sua arte e soprattutto la rabbia di non essere stato chiamato a dirigere qualcosa di importante. Mi immagino che bello sarebbe stato avere un’edizione del festival di Santarcangelo diretto da lui, per esempio o un’edizione di qualche rassegna d’arte digitale di livello nazionale o internazionale. Ma Giacomo era la persona che meno si autopromuoveva. Faceva bene: è veramente un’esperienza indecente -e l’abbiamo subìta tutti più o meno – quella di proporre progetti o il proprio CV a gente senza alcuna competenza, messa ai piani alti della cultura per meriti di tesseramento o per familismi amorali.
E’ stato un peccato e un vero spreco per l’arte italiana aver permesso che Giacomo passasse il suo tempo sui treni per andare da un’Accademia all’altra a ottemperare i doveri di piccoli contratti, da docente precario cronico (lui che era già nelle Enciclopedie dell’arte insieme a Bill Viola, ai Vasulka, a Studio Azzurro) anziché farlo lavorare a servizio di una grande Istituzione o Fondazione d’arte.
E così la Storia non ci insegna niente. Forse dopo l’editoriale di Roberto Castello qualcuno si sentirà tirato in causa, si sentirà in colpa per non avere fatto abbastanza, per non avere ascoltato. Sono convinta che la questione debba andare oltre la persona di Giacomo e la sua arte “incompresa”.
Ma a questo punto anche io faccio il mio: tra le carte delle corrispondenze che Giacomo stampava per ogni progetto e manteneva tra le varie scatole datate e catalogate, c’è anche quella di un Teatro-ragazzi del Sud che alla proposta di Giacomo di acquistare Storie mandaliche (ricordiamo, il primo e forse più importante esempio italiano di teatro di narrazione interattivo su cui Erica Magris ha fatto lecture al MIT di Boston) rispondeva che “Non ho trovato alcun motivo di interesse in questo spettacolo”. Ebbene, vorrei che queste persone capissero la distanza abissale tra i loro lavoretti scolastici da quattro soldi finanziati dal loro Comune e la grandezza inarrivabile di Giacomo. La differenza è che lui resterà nella Storia e di loro invece non si sentirà più parlare.