Recentemente un bando apparso in rete che offriva residenza e cachet decisamente basso per progetti e spettacoli multimediali, ha riportato in luce la questione dei costi (per i teatri ma soprattutto per i creatori) di questi progetti Sono veramente consapevoli coloro che ospitano questo tipo di spettacolo o chi propone residenze, di cosa implica allestire un lavoro tecnoteatrale? E’ corretto metterlo sullo stesso piano di una normale produzione? Quali sono i budget che gli artisti o i promotori di questo teatro spendono realmente per le produzioni? Esistono “buone pratiche” di creazione collettiva o esempi di residenze specificatamente dedicate al teatro multimediale che possano essere considerati dei modelli? E in epoca di “software culture” e di “convergence culture” dove sta andando il teatro che usa nuovi, nuovissimi o vecchi media?
Ne parliamo con alcuni artisti autori e teorici: le domande sono comuni (Anna Monteverdi)
Cominciamo con uno degli studiosi di riferimento, Antonio PIzzo (autore tra gli altri, di Neodrammatico digitale: scena multimediale e racconto interattivo), che si è anche fatto promotore di nuove produzioni con Marcel.lì Antunez Roca all’interno dell’Università di Torino dove è docente associato al Dipartimento di Studi umanistici, E’ direttore del CIRMA Centro interdipartimentale per la ricerca sul multimedia e audiviosivo. E’ Co-fondatore di Officine sintetiche. ed è membro del comitato di redazione di MImesis Journal.Scritture della performance.
1. Quando cominciate un progetto artistico di teatro multimediale vi garantite prima di avere il budget necessario tramite “call”, bandi europei, residenze o finanziamenti esterni di Teatri o lavorate in autoproduzione?
Antonio Pizzo Le volte in cui nel mio lavoro universitario ho partecipato ad attività produttive (spettacoli, istallazioni, ecc.) ho sempre verificato prima l’esistenza di un budget necessario (sia che provenisse da una linee finanziamento sia che fosse un incarico diretto)
2. Se ci fosse una “call” di teatro multimediale per incentivare il lavoro di nuovi autori o per una creazione di una nuova opera quale credete che sia una cifra adeguata che un Teatro, un Festival dovrebbe stanziare?
Antonio Pizzo: Non credo che si possano fare produzioni al di sotto dei 50.000 euro. Nella mia esperienza ho partecipato a progetti che sono costati di meno ma solo perché una buona parte del lavoro era fornita in co-finanziamento dall’Università.
3. Il sistema delle residenze può essere utile alla creazione del teatro multimediale? Cosa implica una residenza per questo teatro e nel caso, cosa dovrebbe offrire un teatro/Festival che propone una residenza a una intera troupe o compagnia?
Antonio Pizzo: Il cosiddetto teatro multimediale condivide con il teatro “normale” una forte artigianalità. Solo raramente le soluzioni tecnologiche sono frutto di ricerca e innovazione specifiche (strumenti o applicazioni sviluppate ad hoc da laboratori specializzati, e in quel caso il budget sale esponenzialmente). La condizione più consueta è utilizzare in modo originale le tecnologie disponibili. Questo richiede un tempo di conoscenza con i sistemi, le macchine, le soluzioni. Le residenze sarebbero le occasioni principali per sviluppare questo tipo di competenze.
4.Il fatto che vengano attribuiti finanziamenti così bassi come abbiamo osservato in questo periodo, a vostro avviso non obbliga forse l’artista a “spezzettare” il lavoro in troppi segmenti di lavoro che rischiano di far perdere continuità e novità al lavoro stesso? Come possiamo indirizzare una certa politica culturale teatrale a un maggior investimento facendo capire ai teatri la complessità (e i costi) di questo teatro?
Antonio Pizzo : Nelle statistiche SIAE sullo spettacolo di alcuni anni fa emerge che lo spettacolo teatrale incassa ben di meno di altre forme di intrattenimento. Ma soprattutto si vede che quei pur minori incassi, sono sviluppati da produzioni eminentemente commerciali (musical, artisti famosi in TV). Vale a dire che sul piano della produzione Italiana di spettacolo, il teatro che noi esperti vediamo non ha quasi nulla a che fare con quello che vede il grande pubblico; tenendo conto di questa situazione, il sostegno dovrebbe scaturire da una visione programmatica della politica (nazionale e locale). Mi sembra difficile che in questo frangente si prenda una tale strada. Il modello “spacchettamento” è pericoloso perché impone all’artista di sviluppare sempre progetti di piccola portata. Lo stesso vale per il teatro di prosa in cui ormai i registi devono dirigere solo monologhi (per questioni di budget) e la nuova generazione perderà le competenze di direzione di un gruppo di attori. La direzione di una grossa compagnia, la messa in scena di un testo con più personaggi, saranno appannaggio di pochi. Gli altri sapranno solo dirigere due attori che parlano al pubblico. Senza grandi budget, non svilupperemo le competenze per far evolvere il teatro multimediale. lo faranno altrove probabilmente. Noi ritorneremo il paese famoso per gli attori geniacci della scena, simpatici e gigioni. Ma i grandi spettacoli li faranno altri.
> 5.Esiste una formula ideale per la creazione di questo tipo di spettacolo? Quale situazione avete conosciuto che corrisponderebbe a una specie di “buona pratica” (residenziale o di produzione) legata al teatro tecnologico?
Antonio Pizzo premetto che sono di parte, ma credo che le residenze (vista la scarsità di budget) potrebbero essere più produttive se messe in rete con i centri di ricerca universitari e non, che sviluppano attività nel campo della creatività digitale. In questo modo gli artisti potrebbero contare su un bagaglio di competenze (tecniche e progettuali) senza costi aggiuntivi.
> 6. A vostro avviso c’è qualche nuova tecnologia che non è ancora stata esplorata e che si presterebbe a un “nuovo formato” di teatro? Per esempio la Robotica o la AI?
Antonio Pizzo Il teatro intermediale si è prevalentemente concentrato sulla medializzazione del corpo. In altre parole sul rapporto tra scena reale e media digitali. Esiste una linea di ricerca scientifica e artistica che lavora sull’utilizzo della intelligenza artificiale per creare/supportare/aumentare eventi performativi. Credo che questa sia una delle sfide più interessanti del prossimo decennio.
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7.La considerazione che ci sono poche produzioni o pochi gruppi che propongono modalità innovative sul piano della narrazione teatrale (ritornando al vecchio “videoteatro mai tramontato) mette a vostro avviso, in stallo anche l’aspetto di un’analisi teorica del fenomeno della cosiddetta “intermediality?”
Antonio Pizzo Il teatro ha ampiamente assorbito l’utilizzo del video. Ormai sono numerose anche le opere liriche che fanno uso di videoscenografie. Ma è vero che la maggior parte degli eventi è di tipo tradizionale. Questo dipende sempre dai budget a disposizione che non permettono alcun tipo di investimento economico su innovazione linguistica. D’altra parte è pur vero che i modelli intermediali trovano applicazione in ambiti non specificamente teatrali. Se allarghiamo il nostro sguardo alla musica, all’arte contemporanea, agli eventi di intrattenimento ludico, allora forse vedremo che l’intermedialità è diventata un linguaggio più diffuso di quello che appare dal punto di vista teatrale. L’analisi teorica sulla intermedialità potrebbe mettere in luce gli elementi tradizionalmente frutto di un sapere “teatrale” (la drammaturgia, l’attore, il personaggio, la relazione in tempo reale con il pubblico) in eventi che si svolgono in ambiti spuri e differenziati. Invece di inserire oggetti diversissimi in ambito performativo solo per la loro natura intermediale (la tecnologia, la comunicazione, ecc.) si potrebbe riconoscere che questi oggetti non costituiscono performance teatrali e verificare puntualmente quali siano i contributi del sapere teatrale nella loro progettazione.