Kamilia Kard è un’artista di base a Milano. La sua ricerca esplora come le nuove forme di comunicazione online abbiano influenzato la percezione del corpo, dei gesti e dei sentimenti. Spazia tra diversi media, dall’immagine stampata, al videogioco, dal sito internet, alla stampa 3D e all’ambiente virtuale. Il suo lavoro è stato esposto in Italia, all’estero e online in istituzioni e gallerie. E’ una delle vincitrici del bando RESIDENZE DIGITALI 2022.
AMM Puoi dirmi qualcosa sul tuo lavoro legato al digitale e alla rete?
K.K. Il mio lavoro nasce da un’idea forte di unione tra ricerca pratica e ricerca teorica. Il corpo umano e il comportamento umano insieme alle loro declinazioni, sono quasi sempre centrali nella mia indagine.
Lo si vede in maniera esplicita in lavori come Betrayal (2016) installazione video composta da smartphone e peluche, che affronta il tema della manipolazione infantile; o in My Love Is So Religious (2016), una stampa di grandi dimensioni che narra come una relazione sentimentale qualsiasi possa diventare oggetto di discussione online da parte di terzi che ne modificano la natura in base a quello che vedono pubblicare dai componenti della coppia. Nella serie di sculture stampate in 3D Woman as a Temple (2016-2021), il corpo della donna è un elemento sacro e monumentale proiettato in un futuro in cui la digitalizzazione estrema non riesce a soffocare l’idea di corpo umano, anche se prevalentemente inteso come di insieme di dati tracciabili.
Nell’installazionegaming Loading Instructions (Mansplaining) + Zero EXPerience (2021) mostro con un machinima e un videogioco lo stato d’animo della donna che molto spesse viene e si sente marginalizzata a
favore di un maschio meno competente. Molte delle frasi che ho inserito all’interno del video Loading Instructions (Mansplaining) provengono da una call che avevo lanciato su Instagram sul tema appunto del mansplaining.
AMM Qual è la caratteristica di DANCE DANCE DANCE/Toxic garden e come si è sviluppato durante i mesi?
K.K.Toxic Garden è un po’ un punto di inizio e allo stesso tempo di arrivo di una serie di riflessioni che ho fatto sulle relazioni interpersonali che nascono o si sviluppano online. La rete è un luogo in cui molte persone sperimentano il sé sfaccettandolo su diversi livelli: lì, lasciarsi andare a
comportamenti manipolatori o subirli è molto facile. Per esempio, in una intervista, l’artista Cao Fei ha spiegato che mentre stava facendo ricerca per un suo progetto su Second Life, ha osservato che le persone celate/mediate da un avatar cambiavano atteggiamento, diventano a volte più aggressive, meno filtrate dalle convenzioni. Questo accade più frequentemente con avatar con non rappresentano esteticamente la nostra identità reale, ovvero con avatar fantastici. La costruzione di
un avatar è un passaggio fondamentale per un utente che vive in maniera costante e quotidiana ambienti di socializzazione online come Second Life o Roblox.
Roblox ho cominciato a frequentarlo più assiduamente e a studiarlo con attenzione durante la pandemia e il lock down. Mi sono resa conto che, dietro la facciata di una piattaforma di sviluppo di videogame, si cela uno spazio molto frequentato per la comunicazione e lo sviluppo di relazioni
interpersonali. Usato soprattutto da adolescenti e preadolescenti, Roblox è uno strumento importante di esperienza del sé, per una generazione che – nella maggior parte dei casi – non ha
ancora le idee chiare sul proprio io. Durante la mia ricerca ho osservato un gruppo di preadolescenti
alle prese con la ricerca di un outfit giusto, dello slang giusto, delle mappe giuste, delle sottoculture giuste. Proprio queste ultime diventavano un contenitore di molti elementi sia estetici che comportamentali del proprio avatar, con impatti e conseguenze importanti sull’esperienza di gioco.
Ho prestato particolar attenzione alle conseguenze negative di queste esperienze, notando come le relazioni difficili potessero diventare tossiche a tal punto da far si che uno o più giocatori abbandonassero la mappa, o il server.
Estendendo la mia riflessione anche ai rapporti interpersonali non online, ho pensato alle relazioni tossiche come una serie di piante velenose che compongono un giardino. Pur avendo proprietà
tossiche, molte delle piante che ho scelto sono comuni, e spesso coltivate a scopo decorativo. Le vediamo quotidianamente e, nonostante la loro pericolosità, conviviamo con loro. La pianta velenosa diventa metafora di un comportamento umano che in molti casi è latente in noi e viene
fuori solo quando ci sentiamo attaccati, in altri casi invece è un vero e proprio modus operandi atto a perseguire i propri scopi in maniera tossica. Come se un io vegetale, un residuo ancestrale, vivesse
in noi e si manifestasse nella sua accezione negativa sotto questo comportamento o forma.
Queste riflessioni, unite alle mie indagini su Roblox, mi hanno spinto a scegliere proprio Roblox come piattaforma per la costruzione del mio ambiente virtuale Toxic Garden, in cui le piante velenose diventano il soggetto principale, estetizzato ed enfatizzato della mappa gaming da me sviluppata.
Quando l’utente entra nel metaverso che ho sviluppato, abbandona temporaneamente la customizzazione del proprio avatar per assumere quella di una delle sette piante velenose da me modellate: cicuta, ricino, belladonna, tasso comune, digitale purpurea, mughetto e stramonio, una
forma di “vegetalizzazione” della rappresentazione del nostro io digitale. Un connubio tra umano, organismi vegetali e rappresentazione digitale. La natura umana esce fuori in maniera testuale quando si apre il menu della danza, in cui troviamo una serie di passi di danza ognuno ai quali
corrisponde a un’emozione, un’attitudine o stato d’animo. Premettendo che la danza è sempre emozione, la scelta di affrontare le emozioni in maniera così analitica è avvenuta durante il mio periodo di residenza alla Lavanderia a Vapore di Collegno. In quei giorni ho lavorato con quattro
danzatrici del Balletto Teatro di Torino e della Fondazione Egri (Federica Rignanese, Francesca Picca Piccon, Aurora Mecca e Giada Zilio) e insieme abbiamo creato i passi di danza che compongono la coreografia della performance Dance Dance Dance.
Dopo una breve introduzione alle intenzioni di Toxic Garden, le ragazze sono subito entrate in sintonia con il progetto, ragionando ed estrapolando quelle che si possono definire delle ripetizioni di comportamento e di emozioni che si provano durante il coinvolgimento – attivo e passivo – in una relazione manipolatoria o tossica. Riflettendo su dei pattern comportamentali sono emerse parole chiave che a loro volta sono diventate trigger per la composizione del singolo passo. La
coreografia è l’insieme ragionato di questi passi, che formano una narrazione sui generi di una relazione manipolatoria. Abbiamo identificato tre fasi: la prima fase coincide con un momento di
alto coinvolgimento con la persona che esercita la sua posizione di potere, e fa sentire la persona che la subisce al settimo cielo, molto aperta e positiva; quindi arriva la fase del “colpo”, in cui dallo stato esclusivo percepito si cade in un abisso fatto di disorientamento, nuove percezioni, insicurezza e molto altro; infine, si chiude con la fase della consapevolezza e della ripartenza.
Queste tre fasi sono quindi diventate le basi di una “storia”, che abbiamo tradotto nel seguente script, che fa da base alla prima parte della coreografia di Dance Dance Dance:
“Incontro -> seduzione -> Gioco-> Persuasione -> dare -> spensieratezza -> costruire fiducia
-> sicurezza-> up (nuvole) -> up (salti) -> Colpire -> essere colpiti-> disorientamento -> No
ascolto -> maschera -> manipolazione -> nuova fiducia -> pressione -> no gravity ->
Colpire -> essere colpiti -> azione-reazione -> Scudo -> dare e prendere -> animale-
burattino -> Immobilità -> tapisroulant -> ritorno -> dare e prendere -> Oppressione->
insicurezza-> realizzazione -> scudo -> aiuto -> prendo e scappo -> fiducia -> No gravity ->
via di fuga -> ripartire.”
La seconda parte della coreografia racconta una storia molto più breve, perché chi la vive ha fatto tesoro delle esperienze passate. Questo lo script:
“Ricordo -> gioco -> up (nuvole) -> dare e prendere -> sicurezza -> down (colpi) -> Scudo-
> Tapisroulant x2 -> up (salti) -> realizzazione-> down (rassegnazione) -> Immobilità -> via
di fuga-> stop -> Gioia.”
Tutti questi passi sono stati ripresi con la camera e poi elaborati da un’intelligenza artificiale che li ha trasformati in animazioni 3D. Per riuscire bene nella cattura dei video, le danzatrici dovevano
muoversi dentro un’area specifica, evitare determinati movimenti, essere vestite in un modo specifico che aiutasse l’occhio della macchina a leggere i loro movimenti in maniera più fluida. Uno dei riscontri positivi che ho avuto dalle quattro danzatrici e che ritengo interessante condividere, è che tutti i limiti “imposti dalla AI” hanno in realtà dato loro modo di mettere alla prova la loro creatività e autorialità. Dal canto suo, l’intelligenza artificiale ha voluto partecipare all’assetto coreografico fornendo talvolta delle interpretazioni particolari dei singoli passi: questi passi “interpretati” a volte li ho modificati per riportarli al loro valore inziale, a volte li ho tenuti con la licenza della macchina. Ancora una volta si parte da una ispirazione che parte da un ambito vegetale, dalle piante velenose, si traduce in corpo umano e in movimento che a sua volta viene poi rivisto da un programma, un passaggio naturale tra vegetali, umani, avatar e intelligenza artificiale.
La performance partecipativa Dance Dance Dance che si svolgerà in una sottomappa di Toxic Garden prende il nome dall’omonimo romanzo di Haruki Murakami, nel quale la danza è l’unica azione possibile da fare per assecondare il flusso ineluttabile del tempo che trascina l’essere umano.
“You gotta dance. As long as the music plays. You gotta dance. Don’t even think why. Start to think, your feet stop. Your feet stop, we get stuck. We get stuck, you’re stuck”. Come nella vita, nel testo di Murakami e nella coreografia della performance il ciclo della “danza” fa emergere
problematiche legate ai rapporti interpersonali, talvolta complicati. Le relazioni umane sono corredate da sentimenti e sensazioni che non si possono sempre controllare, ad ogni modo bisogna affrontarle senza smettere mai di “ballare”.
AMM Puoi dire qualcosa sul tuo libro Generatori di sentimenti. Arte e social media?
K.K. Le nuove forme di comunicazione online, la costante connettività e le pratiche sociali in rete hanno influenzato in maniera radicale il modo in cui viene percepito e rappresentato il corpo, la costruzione e il racconto della soggettività, la percezione e l’espressione dei sentimenti e delle
emozioni. Secondo le più recenti prospettive filosofiche, l’individuo contemporaneo manifesta un’identità mutevole e fluida, condizionata dai ritmi frenetici e accelerati della società e della tecnologia (Peter Sloterdijk); e in quanto utente e generatore di dati, costituisce la base e il punto di partenza dell’infrastruttura a “catasta” della società digitalizzata in cui viviamo (Benjamin Bratton).
Da acuti osservatori dell’ambiente online, gli artisti sono stati in grado di descrivere, interpretare e rielaborare questo cambiamento, fornendo nuovi spunti di riflessione, nuovi linguaggi artistici e nuove estetiche. Ciò nonostante, le indagini dedicate a questa trasformazione sono ancora poche, frammentarie e asistematiche.
Si propone di sanare questa lacuna raccogliendo discorso teorico unitario differenti manifestazioni dell’identità online, spaziando dalla cultura del selfie alla scansione dei corpi, dai video ASMR alle immagini di profilo, dai filtri facciali al cosplay, dalla realtà aumentata alla realtà virtuale alla sfera del gaming. Partendo da un’idea forte di arte come ricerca, Kamilia Kard si avvale di riferimenti a opere contemporanee, di una conoscenza profonda degli strumenti indagati e di differenti metodologie di ricerca – analisi critica, indagine lessicale, studio statistico